Un viaggio tra il Giappone, l’America e Stoccolma, per esplorare l’aspetto ambientale della techno scura, desolata, minimalista del producer scandinavo, in cui l’atto del registrare è rivolto verso l’interno quanto verso l’esterno. 

V: Dopo En Ros Röd Som Blod, uscito su Posh Isolation, un altro album entra a far parte delle Nordic Flora Series. Un terzo ed ultimo capitolo?

V: Nordic Flora Series è un progetto che comprende una collezione di album. Alla base c’è il desiderio di collaborare con altri artisti, tutti amici. Gore-Tex City è il terzo capitolo. Ogni album esplora alcune dimensioni della storia che voglio raccontare senza esaurirla, esattamente come in un libro.

V: La Northern Electronics, che hai fondato insieme a Abdulla Rashim, è una label che a suo modo incarna la rinascita della scena elettronica di Stoccolma. Quale obiettivo condividete?

V: Lo scopo della label è principalmente quello di far convergere il lavoro e le collaborazioni di amici. È una piattaforma per un numero esiguo e molto selezionato di artisti. Non siamo orientati nel diventare una label di grandi dimensioni, semplicemente è un’opportunità per fare ciò che vogliamo. La differenza rispetto alla scena precedente penso sia riconducibile al fatto che siamo persone diverse, con nuovi background. Però a noi non interessano le scene, è il sentimento che ci guida e ci lega.

V: I luoghi in cui sei nato, cresciuto o hai vissuto hanno influenzato la tua musica?

V: Tutti i luoghi dove registro lo fanno. Il Giappone, l’America, Stoccolma. Ogni settimana sono in viaggio e i luoghi che incontro e che attraverso li porto con me. Sono fonte di innumerevoli suggestioni. Non vengo ispirato dalla musica di altri, anche se ascolto molto hip hop, ma dalle situazioni. Sono un cittadino del mondo, la mia vita è come stare seduto in aeroporto. È così che trovo ispirazione.

V: Ascoltando l’album mi sono soffermata su Yamanote Line. Mi ha ricordato un recente viaggio a Tokyo, immergendomi nuovamente nei suoni della città. Nei tuoi album c’è la vita reale?

V: Sì, c’è il bisogno di trasferire un sentimento ambientale. In Gore-Tex City, ci sono molti field recordings fatti in Giappone, amo la loro cultura. È uno dei miei luoghi preferiti al mondo e riproporne suoni e rumori della vita iperbolica di Tokyo è un modo per ritrovarsi lì.

 

https://www.youtube.com/watch?v=zkPywNoZE6M

 

V: Nelle tue tracce utilizzi esclusivamente i field recording o anche altri suoni, provenienti da internet e da altri media per esempio?

V: A volte uso delle interviste di Kim Kardashan o dei video di Youtube. Principalmente però utilizzo i field recording fatti da me.

V: Da Misantropen a Gore-Tex City il tuo modo di produrre musica è cambiato?

V: Certamente, perchè quando ho registrato Misantropen non sapevo cosa significasse fare musica. Mentre ora lo sto imparando, evolvendo le mie produzioni in una direzione più professionale.

V. Dal punto di vista del suono?

V: Tutti i miei dischi suonano come me, con il mio mood. Misantropen è diverso dalle mie produzioni più recenti, ma il sentimento è lo stesso. A me però interessa realizzare cose nuove, non voglio essere un producer techno e rifare lo stesso disco innumerevoli volte, reiterando gli stessi schemi.

V: Provieni da un background metal, che cosa ti ha lasciato?

V: Non saprei dirlo esattamente, forse l’indifferenza nei confronti del perfezionismo, un approccio più istintivo e immediato. Non mi interessa particolarmente la qualità dell’audio, né stare seduto ore a rifinire una traccia, mi bastano pochi minuti per passare dall’idea al lavoro finito. Credo che questi aspetti siano l’eredità di quella scena.

V: Qual è il mood che si respira nell’album? Personalmente l’ho trovato malinconico, melodico e anche carico di una suspense tipica di certi film horror.

V: Non posso più definire come suona, perchè non c’è più nella mia mente, è tutto uscito.

V: Hai un approccio politico alla musica?

V: Cerco di non averlo ma la politica è ovunque. Tutto è politica ed è molto difficile quando produci non curartene, anche se fai resistenza.

V: Il disco è ricco di collaborazioni. Come e perchè hai scelto Yung Lean, Alessandro Cortini, Anna Melina e tanti altri?

V: Come dicevo prima, mi piace produrre con gli amici. Anna Melina, per esempio, è qui ora a bere un caffè insieme a me. È un’amica, esattamente come Yung Lean che vedrò stasera. Collaboro esclusivamente con artisti di cui stimo e rispetto il lavoro, che mi piacciono come persone. Molti trovano strano che io collabori con Yung Lean e con Alessandro Cortini dei Nine Inch Nails, ma per me non lo è affatto. Siamo tutti parte di una grande famiglia.

V: Donato Dozzy è stato uno dei primi artisti stranieri a credere in te e a coinvolgerti. Cosa pensi di avere in comune con lui?

V: Donato è una leggenda della techno. Non lo conoscevo quando avevo cominciato a fare musica ma Abdulla Rashim mi disse che la mia musica suonava molto simile alla sua. Lui mi chiamò per un live, entusiasta del mio lavoro e da lì nacque la nostra amicizia.

 

 

V: Due curiosità su alcuni pezzi dell’album. Cosa mi racconti di Red Line II, la traccia realizzata con Yung Lean?

V: L’abbiamo registrata nella cucina di mia madre, bevevamo birra e mangiavamo pizza, mentre facevo musica con l’ipad. Siamo due ragazzi normali. Molte persone sono interessate a scoprire le motivazioni per cui abbiamo collaborato a questo disco, ma per me non c’è niente di strano. Siamo semplicemente due amici a cui piace fare delle cose insieme.

V: E invece, Blue Line in cui hai collaborato con Anna Melina?

V: Inizialmente non la conoscevo, circa un anno e mezzo fa le ho scritto, chiedendole se voleva collaborare. Apprezzo molto il suo approccio alla musica, lo trovo di grande ispirazione, e siamo diventati amici attraverso quest’album. L’ho registrata in aereo, sempre con l’ipad, e credo che la sua sia una delle tracce più interessanti del disco, quella che ha aperto una nuova direzione musicale tutta da esplorare. Direi che le relazioni sono l’aspetto centrale, c’è molta emozione all’interno di Gore-Tex City. Il titolo a suo modo traduce questo aspetto. Parla di un mondo che sta diventando freddo e in cui occorre vestirsi nel modo giusto per resistere. Occorre amore per scaldarsi.

V: Sei un producer molto prolifico. Uno dei pochi che da subito ha preferito gli album agli EP. Perchè?

V: L’EP è un formato troppo breve, non riesco a raccontare una storia così velocemente, in sole quattro tracce. Preferisco lavorare su qualcosa di più lungo. Per me è facile fare musica, non ho molto altro da fare. È un modo per sopravvivere.

 

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