23 / / 10 / / 2021
Ci sono film che come i colori rimangono negli occhi. Basta chiuderli per passare da un tutto indistinto blu: jeans, petrolio, carta da zucchero, all'esperienza virtuale dell'emersione delle forme, che si stagliano mute nella mente, grazie a un cono di luce. Eccolo il cinema! Quel ritaglio rettangolare, memoria di uno schermo, anzi, ancor prima: di una fotografia. Ma la folgorazione avviene se ci sposta dietro, solo in quel nonluogo intuiamo la magia cinefila della proiezione. Quell'immagine inesistente, pulviscolo luminescente, che dall'altra parte è narrazione in movimento. È strano pensare che ancora oggi qualcuno riesca a emozionarci così, in un tempo di scrolling infinito, dove le immagini hanno perso il potere di colpire, significare, provocare turbamenti duraturi. Ancor prima di loro in realtà è quell'azione di accendere, accompagnata da un suono inconfondibile, a parlarci di un amore dimenticato: il Cinema, dove anche un secondo è vitale, perché è sufficiente per condensare il valore profondo di un legame
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21 / / 10 / / 2021
Vivere tra due mondi. Oggi sembra la normalità. Un'eventualità da esaltare, rendere ancora più plurale. Le frizioni ci inebriano, i contrasti ci seducono, la monodimensionalità appare come il più temibile dei mali. La non scelta, la possibilità di abitare transitando, non senza gerarchie o sofferenze, è una condizione esistenziale da cui spesso abbiamo imparato a trarre il meglio.
Ed è passato circa un secolo, da quei ruggenti anni Venti del Novecento, tempo anche di Proibizionismo, che sono il retroterra culturale e il tempo storico di Passing, esordio alla regia dell'attrice Rebecca Hall
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11 / / 09 / / 2021
Il “fallimento” del cinema al femminile, in questo periodo storico di opportunità meritate e indulgenze dovute, quest'anno ha un titolo: L'Événement, della regista francese di origini libanesi Audrey Diwan, che a Venezia 78 presenta in concorso una dramma sull'aborto clandestino, rifacendosi al romanzo autobiografico di Annie Ernaux. Può sembrare un incipit molto forte per un film che si dice abbia fatto “piangere i giornalisti” e profondamente provato, anche fisicamente, il pubblico in sala, ma il merito di queste eccessive escandescenze non va certamente alla regista, che lo sviluppa come un'abusata storia di emancipazione, tutta ideologia e, guizzo fuori dal comune, con una sensibilità body horror, se così si vuole definire la scelta di rendere concreto, carnale, visibile l'aborto, bensì purtroppo alla novità del tema, alla sua sommaria trattazione fino ad oggi sullo schermo
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