Uscito su BITE a fine ottobre 2022, è il primo album di Soft Crash, il progetto nato dalla collaborazione tra Hayden Payne, noto ai più come Phase Fatale, e Pablo Bozzi. Non si tratta di un album in stile Berghain, nonostante non si discosti dal suo mood o anche da certi immaginari fantascientifici cyberpunk che sono ricorrenti nello scenario techno. Ciò che colpisce in realtà è la peculiare combinazione di generi e sottogeneri musicali che risalgono agli anni Ottanta e Novanta. Seguendo un certo filone interpretativo si potrebbe definire un progetto intriso di nostalgia, ma a conti fatti è una reinvenzione totale, data dalla complessità del missaggio e anche dalla presenza di Pablo Bozzi e della sua Italo Body Music, che rappresenta già un’innovazione nell’interpretazione personalissima dell’intersezione tra EBM e Italo. Ad approfondire il progetto è stato Hayden, che ci ha raccontato di questa drammatica storia d’amore fantascientifica che rappresenta l’anima narrativa dell’album.

V: Your Last Everything è il vostro primo album. La vostra collaborazione precedente è stata Spritzkrieg, un EP dalle molteplici influenze legate al dancefloor. L’album rappresenta una evoluzione nella medesima direzione, oppure introduce anche dei cambiamenti?

Hayden Payne [Phase Fatale]: All’inizio del 2020 io e Pablo abbiamo cominciato a lavorare e suonare insieme. Nello stesso periodo lui ha realizzato il suo primo EP, definendo la sua identità artistica e il concetto di Italo Body Music. Il primo EP che abbiamo realizzato insieme, Spritzkrieg, conteneva solo tre tracce, principalmente orientate al dancefloor, pensate per diversi momenti di questo tipo di esperienza, quindi sì, con diverse influenze, talvolta più EBM, oppure new beat, ritmi spezzati o con parti più lente. Quando siamo passati all’album abbiamo ragionato in un’ottica più ampia. Non ci siamo concentrati esclusivamente su sonorità dancefloor ma abbiamo dedicato più tempo alle tracce, rendendole più complesse e difficilmente decifrabili. Su alcune addirittura abbiamo cominciato a lavorarci un anno prima rispetto alla sua conclusione. Il processo è stato molto lento e abbiamo aggiunto layer su layer, in maniera progressiva e a distanza di mesi. Come ho già detto la focalizzazione non è stata tanto sul dacenfloor, che comunque fa parte del nostro background, quanto sull’aspetto narrativo. Se leggi i titoli emerge questa sorta di storia d’amore fantascientifica, che finisce tragicamente. L’aspetto narrativo e drammatico però torna anche all’interno delle singole tracce.

V: La scelta narrativa è stata fatta a monte oppure è emersa improvvisando o iniziando a “buttare giù” musica?

HP: Quando abbiamo iniziato a lavorare sull’album avevamo già chiaro che volevamo alcune tracce più orientate al dancefloor, altre più electro oppure più lente, per ricreare diversi mood. Naturalmente quando cominci a lavorare su una traccia parti con un’idea in mente che cambia durante il processo creativo. Alcune tracce sono evolute in un maniera che non avevamo pianificato. Però c’è stato sempre lo sforzo di tenere l’album bilanciato.

Your Last Everything, copertina album.

V: La “nostalgia” è un concetto ricorrente nella musica contemporanea e definisce questa tendenza ad attingere a sonorità di un passato recente, principalmente gli anni Ottanta e Novanta, reinventandole completamente senza però perdere quell’aggancio che le rende riconoscibili. Pensi che tu e Pablo abbiate lavorato in quest’ottica oppure il vostro processo creativo si svincoli da questa visione?

HP: Penso che la nostalgia oggi si manifesti in molti campi, dalla musica, all’arte, alla moda, dove aleggia questa sensazione che molto sia già stato fatto. Ciò non toglie che ci si misuri sempre con la scommessa di rompere schemi consolidati. Inoltre va detto che la musica ha sempre attinto dal passato. Credo che l’aspetto innovativo in quest’epoca consista nel combinare cose che non sono state combinate prima. Penso all’Italo con l’EBM, l’IDM, la techno moderna del Berghain, ma anche con musica più sperimentale come il noise. Si tratta di combinarle in modi completamente nuovi, che non si sono mai ascoltati prima, ma come hai detto tu, che consentano di recuperare i riferimenti sonori dalla memoria.

V: Mi interessa il recupero dell’Italo Disco, che è un genere che forse in ambito underground ha riscosso meno interesse. Perché per voi è diventato importante come riferimento?

HP: Credo che il motivo sia che io e Pablo amiamo la musica degli anni Ottanta, la Synthwave, il Synth Pop, tanto quanto sonorità più deep, perché entrambi abbiamo frequentato a Berlino contesti musicali Goth Wave Dark Synth, da cui abbiamo sicuramente mutuato questo mood più malinconico, che abbiamo combinato con tratti più robotici della musica disco (l’avevamo già fatto in passato), aggiungendo anche una certa playfulness che rendesse le nostre tracce e sonorità meno scure. Non ci dispiace il carattere cheesy dell’Italo Disco.

V: Come inquadri questo progetto [Soft Crash e l’album Your Last Everything] all’interno della tua produzione personale come Phase Fatale?

HP: Mentre stavo lavorando a Your Last Everything, mi stavo parallelamente occupando dei miei progetti personali e credo che sia stata anche un’occasione per accelerare o svoltare certi processi. Alla base dei due progetti però ci sono le stesse references, anche se come Phase Fatale prediligo e attingo da sonorità più industrial. Nei miei dj set però introduco anche l’Italo Body Music, che identifica più Pablo. Il bello di dedicarsi a più progetti è catturare diversi mood, che vengono captati o che nascono dalla collaborazione con altri artisti.

Soft Crash. Photo di: John Rohrer.

V: In passato ti sei concentrato sul capire in che modo le frequenze incidano sul corpo e sulla mente umana condizionandoli. Hai portato questa esperienza in questo album?

HP: In un certo senso sì, però credo che questa riflessione abbia riguardato più l’aspetto tecnico che teorico in Your Last Everything. Sia perché essendo in due spesso si hanno idee differenti, sia perché abbiamo dedicato molto tempo ed energie nel cercare il modo migliore per combinare le frequenze, quindi al missaggio, perché ci sono davvero molti layer e melodie. La relazione col corpo non manca, però questo non è un album in puro stile Berghain. Non si discosta dal suo mood ma è più malinconico, più lento e caldo.

V: Come definiresti l’Italo Body Music?

HP: Si tratta un “genere” che identifica Pablo, è una sua invenzione, perché la sua musica risente molto delle influenze dell’Italo e della Synthwave, distinguendosi però per un altissimo livello qualitativo della produzione, che la svincola dall’essere retrò. È molto moderna e fisica. Non è strettamente EBM né Italo. La non appartenenza e allo stesso tempo l’intersezione tra i due generi l’ha spinto a coniare questa definizione, che è appunto: Italo Body Music.

V: I film di fantascienza e i videogame sono un riferimento culturale per la tua musica?

HP: I videogame non tanto, ma gli anime come Ghost in the Shell, Akira, il filone cyberpunk sono fondamentali per la definizione dell’immaginario e del mood di questo album. Analogamente le colonne sonore, sono un riferimento molto preciso delle emozioni che volevo evocare. Trasversalmente poi c’è sempre William Gibson come riferimento e tutto il cyberpunk. L’album restituisce questa visione di fluttuare nello spazio, di perdersi, quindi evoca un mood malinconico, che è ben rappresentato da un certo tipo di fantascienza.

 

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