I due grandi problemi per coloro che seguono le sfilate sono: non annoiarsi e riuscire a mettere da parte il gusto personale. Sembra semplice ma posso assicurare che è un ostacolo difficile da superare per molti giornalisti. Il gusto personale è quello che ci permette di parlare in maniera più accorata (o di stroncare) una collezione, trasferendo però al lettore quel tanto di conoscenza utile a interpretarla. Nehera è un marchio di quasi cento anni, scomparso per diverso tempo e riapparso sul planisfero della moda poche stagioni fa a Parigi, quando un imprenditore ha deciso di rilanciarlo, scegliendo per il difficile compito Samuel Drira, da molti conosciuto per aver creato la rivista culto francese Encens.

La collezione s/s 2017 sembra una citazione delle tele di Alberto Burri ma anche di un (finto) minimalismo alla giapponese, perché  guardando meglio i capi si intuisce che il gioco bidimensionale dato dalle giacche ripiegate e appoggiate sul petto come gilet, oltrepassa il minimalismo dell’Impero del Sol Levante, trattandosi di un lavoro sulle tre dimensioni e sulla trasformazione di una giacca o un impermeabile in pezzo semplicemente decorativo. Le linee sono oblique e volutamente in contrapposizione tra loro e alcuni capi (prodotti da piccoli artigiani nella zona di Bratislava) richiamano le campagne di tutto il mondo: da quelle del centro Europa al Sud della Francia, dall’Indocina di L’amante di Marguerite Duras a quelle giapponesi in cui la vera cultura dell’isola è portata avanti nei secoli senza grandi modernizzazioni. Meritano una segnalazione i capi indaco, tinti e stampati con una tecnica unica (Modrotlač), mantenuta viva sin dal XVII secolo esclusivamente nella Repubblica Slovacca e in Giappone. Nehera è uno dei pochi marchi in grado di declinare il minimalismo nel ventunesimo secolo, dando un’occhiata agli Anni Novanta per poi rivederli e correggerli. Un bravo va a Samuel Drira, che sta facendo compiere una transizione a questo marchio, trasformandolo in un piccolo fenomeno di culto.

 

nehera.com