Osserva William Butler Yeats: “Le cose crollano, il centro non può reggere”. Il crollo è una caduta e una polverizzazione. Sono le torri che inghiottono la carne, i tram e le metropolitane esplose e sventrate, i muri abbattuti e scavalcati, le città fracassate, le guerre, le rivolte e i ribelli della terra. I suicidi “videoludici” e i terremoti che riportano al presente e alla phoné mondi lontani. Divisi. Intrisi. Le voci sommerse che si fanno largo con la forza, opponendo il loro credo a quello del mercato e del capitale, che tornano smarrite alla tradizione, che bevono nei calici dell’abbondanza e la rifiutano. Sono gli sguardi, i corpi e le sensibilità degli altri che sono stati colpiti dalla modernità, sognano gli incantati mondi del piacere e urlano fame, miseria, terra, guerra. Si tratta del mondo a frammenti di cui parla Clifford Geertz, in cui soggetti fragili e orfani di certezze, affascinati dall’immaterialità e dal privilegio dell’accesso, inciampano nei ricordi e nelle rovine delle “magnifiche sorti progressive” e s’imbattono in una realtà porosa in cui algide presenze e brucianti assenze si combinano e competono, sopravvivono e partecipano, entrano in conflitto. Marcando il passaggio ad una nuova condizione in cui si è chiamati a riflettere sulla modernità: la sua dissoluzione, dispersione e polifonica interpretazione.

Come osserva Eleonora Fiorani “finché scienza e capitale funzionano come principi organizzativi degli ordini sociali dominanti, vale sempre la modernità” (Fiorani Eleonora, La Nuova Condizione di Vita, pag.10) e il pericolo della colonizzazione occidentale, attraverso l’attuale scenario tecno-comunicativo e la sua partecipazione selettiva. Ma è anche vero che la modernità che oggi stiamo vivendo si presenta più disomogenea che in passato, entrando in relazione con la globalizzazione e i processi di sconfinamento, destrutturazione e moltiplicazione degli ordini, dei confini, delle identità, che quest’ultima avvia. In sede socio-antropologica si danno più definizioni e approcci, ognuno dei quali focalizza la criticità di alcuni aspetti, dimostrando anche la differente posizione che oggi compete agli intellettuali di fronte alla rivoluzione paradigmatica del digitale. La tendenza è sempre più quella di sezionare, cercare di fornire nel contempo prospettive ampie e particolari, aperte e dettagliate. Meno celebrative e più sottili, che siano il risultato di transdisciplinarietà e ibridazione di campi del sapere, un tempo nettamente disgiunti e separati. Diversamente dal passato il filtro dell’esperienza personale si qualifica come un valore aggiunto e imprescindibile, che sottrae validità e spessore alla dicotomia arte-scienza, entrambe parte della vita complessa del soggetto, non più alternativamente razionale o emotiva, o distante da se stessa e dagli altri. Di qui l’importanza della convergenza di osservazione, partecipazione, immaginazione, intuizione, sentimento e alterità nelle analisi e interpretazioni dell’attuale scena in transito.

Bodimettu, Theni, India. Photo: Banjo Emerson Mathew.

Parlare della globalizzazione infatti vuol dire parlare tutt’insieme di un mondo interconnesso, della moltiplicazione dei mondi e dell’economia dei flussi che sorvolano e entrano in relazione coi luoghi, trasferiscono informazioni, persone, merci e le fanno interagire tra loro, promuovendo nuove trasformazioni e territorializzazioni. Globalizzazione significa decentramento produttivo, tardo capitalismo, extraterritorialità del potere, zone franche e territori ex lege dove la produzione di cose supera quella di immagini ma viene da essa influenzata. Significa penetrazione e espansione della cultura del consumo sino all’angolo più remoto del pianeta, consumo del mondo, culture e natura come fondo d’impiego, spettacolarizzazione, “cannibalizzazione” dello spazio e del tempo, rincorsa disperata alla modernizzazione e conflitto permanente tra tutti i “locali” interconnessi, abbandonati sulla via, prodotti o mai coinvolti. La globalizzazione è la tecnologia che l’ha permessa, che ha cambiato l’aria concettuale della modernità, scardinando i meccanismi riproduttivi della società industriale e avviando la crisi dei mercati nazionali e quella degli stati, del soggetto e delle rappresentanze. Ponendo il mondo sotto l’assedio della ragione strumentale, rinviando all’opposto immagini e immaginari ad altissima intensità emotiva, funzionali alla produzione di differenze e alla proliferazione di sempre nuove figure dell’alterità.

Quando le nitide e riposanti rappresentazioni dello spazio costruito vengono meno e il tempo si astrae nella simultaneità, dandosi come velocità e contemporaneità degli avvenimenti, i confini dell’io e dell’altro si offuscano e si confondono; si staccano dalle mappe, viaggiano e rilocalizzano, cambiano faccia, inventano. Ma va rilevata oggi l’intensificazione della loro immaginazione e moltiplicazione, attraverso panorami e paure. Angosce territoriali e identitarie indotte dalla mobilità generale; risultanti dei fenomeni di dispersione, atomizzazione del globale e della società della comunicazione. Questa disgregazione segue alla convergenza tra comunicazione e tecnologia, al cambiamento della percezione spazio-temporale, della territorialità e del senso di “trovarsi in un luogo” che essa avvia. Spazio e tempo non sono più due sostanze separate. Lo spazio non è più distanza né profondità e il tempo non è più storico né diacronico. Anzi diciamo che queste due categorie, oggi caratterizzate da comunicazione, connessione, trasmissione di dati e mente, si fondono l’una nell’altra, estinguendosi nel flusso di panorami che riguardano corpi, immagini, informazioni e coscienze. “Il tempo tende a contrarsi in un presente simultaneo di possibilità parallele” (Pezzella Mario, in Carmagnola Fulvio, Pievani Telmo, Pulp Times, pag.62).

Ghaziabad, India. Photo: Prateek Tyagi.

Non è più irreversibile, assoluto e lineare. Si mostra solo quando viene fermato ed è riserva di frammenti. Passato e futuro sono due direzioni, due orizzonti dello sguardo critico ma il tempo è sempre quello presente. L’unico sul quale si possa realmente intervenire, per non rischiare l’anacronismo o la perdita dell’avvenire. Ecco allora, l’apparenza di un mondo in fuga rispetto a se stesso; assente, perché non più riconducibile a facili schematismi o comodi giudizi; a sterili dibattiti sulle responsabilità univoche delle sue condizioni; a stabili schieramenti e contestazioni. La sua attuale complessità risiede nelle molteplici interconnessioni che la comunicazione di massa nasconde, fornendoci l’errata percezione di una colonizzazione totale da parte di marche e griffe globali e di un’economia centrata sulla performance. Immagini e immaginari non solo ci leggono e ci seducono, ma vengono interpretati, prodotti e riprodotti. La loro peculiarità è quella di animare sogni, speranze, incubi, azioni, migrazioni, rivolte e fare nascere comunità. Arjun Appadurai parla per questo motivo di mediascapes, paesaggi di immagini, intorno ai quali si strutturano universi simbolici condivisi, che connettono reticoli globali, locali e delocalizzati (questo è il significato che l’antropologo indiano assegna alla parola scape, descrivendone ben quattro: media, etno, finacial e ideo- scapes). E invitano a riflettere sull’inadeguatezza di strumenti e saperi elaborati dalla modernità in merito al presente, sottoposto da tempo a molteplici sguardi: i nostri, quelli degli altri e dell’alterità.

A guard of an old Mughal mosque in Thata, Pakistan. Photo: Raza Ali.

Occorre allora cominciare a parlare di modernità al plurale, riferendo non solo dei molteplici volti della sua solidità, ma anche della varietà di traiettorie, interpretazioni e posizioni che attualmente la percorrono e modificano. Si tratta di un crogiolo di realtà, che forse dovrebbero essere analizzate più in profondità e messe separatamente in relazione con la contemporaneità. C’è l’immagine prima e luminosa della ragione, che oppone filosofia e utopia a tradizione e autorità. Quella che rompe col modernismo attraverso le avanguardie e l’arte. La modernizzazione economica, tecnico-scientifica che ha le sue basi nella “rivoluzione culturale” che porta alla proprietà privata, e alla distruzione e subordinazione delle relazioni sociali al mercato capitalistico. E quella immessa con la forza in altri contesti, subita e non ancora completamente digerita (Eleonora Fiorani, La Nuova Condizione di Vita, pag.21-22). Da queste considerazioni poi parte la modernità attuale: postmodernità, “modernità riflessiva” (John Urry), “liquida” (Zigmunt Bauman), “tarda” (Anthony Giddens). Modernità consapevole dei propri limiti e della propria natura; mutevole e cangiante; che si ripiega su se stessa e si destruttura; si predispone all’ascolto di altre voci e flirta col mondo dei consumi.

Guwahati, India. Photo: Barnadip Banerjee.

Come nota Eleonora Fiorani: “oggi non appare più convincente una critica della società dei consumi, in cui il consumo e il generalizzarsi del mondo delle merci sono intesi solo come alienazione e manipolazione, in un mondo che ha posto il consumo al centro della valorizzazione economica, degli stili di vita e delle forme identitarie” (Fiorani Eleonora, La Nuova Condizione di Vita, pag.26). E ne ha fatto il luogo della tessitura di reti relazionali e comunicative articolate; della manifestazione visibile della cultura; della crisi dei rapporti socio-economici degli stati nazionali; dei processi di inclusione ed esclusione, di quelli di gerarchizzazione, condivisione, differenziazione e individualizzazione del moderno globale; della radicalizzazione delle insicurezze moderne e della produzione di sempre nuove conflittualità e ineguaglianze dentro e tra i sistemi territoriali.

 

Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.