L’artificiale diviene sensibile e impone una mutazione antropologica, fisiologica e forse anche biologica. Chiede di sviluppare nuovi organi e di espandere i sensi e il corpo verso nuove dimensioni finora inimmaginabili (Jameson Fredric, in Fiorani Eleonora, Tutto da Capo, n.3, pag.5). Sconfinamenti. Corpo che si fa mondo, mondo che si fa corpo, trasformando l’aspetto dei luoghi del sé. Dall’interiorità agli interni, alla casa, in cui la mescolanza di realtà quotidiana, informativa e digitale genera una condizione di “augmented reality” che riguarda la dotazione e la diffusione dell’intelligenza. La pelle degli spazi perciò diventa strumento di comunicazione, e la casa, tradizionalmente macchina da abitare, diviene pelle da indossare: abito e ambiente del corpo. Nella cui mobilità è possibile leggere soluzioni e immaginazioni diversificate, che pongono in relazione mutamenti di habitus, della socialità, pratiche di acquisizione del sapere avviate da multimedialità, tecnologia e globalizzazione.

Spread, KRAMLICH RESIDENCE AND COLLECTION BOOK. Via Kramlich Collection.

Alcuni esempi sono: la casa non privata, che ridisegna il rapporto tra pubblico e privato all’insegna di una loro progressiva convergenza; la Villa Hauge di Bernard Tschumi che, nella sua suddivisione interna tra zona trasparente, adibita alle attività del giorno, e opaca, a quelle della notte, diventa un’estensione degli eventi urbani e una sorta di pausa all’interno del flusso digitale delle informazioni; la Digital House di Hariri & Hariri che si configura come una vera e propria estensione del corpo e della mente nell’ambiente; e la Kramlich Residence and Media Collection di Jacques Herzog & Pierre de Meuron che, destinata ad ospitare la collezione d’arte dei proprietari, prende la forma di una casa installazione multimediale, in cui le pareti sono anche schermi su cui proiettare le opere d’arte digitali e luoghi in cui si rende visibile la proprietà dei nuovi media di oscurare i confini tra esterno e interno. La riconfigurazione dell’ambiente domestico dunque vede una sovrapposizione tra spazio fisico e self virtuale che progressivamente sposta l’attenzione verso un’estetica dell’immateriale che lavora sulle interfacce, per approdare all’apertura totale della nudità. Come nella Glass House @ 2 di Michael Bell, che riferisce di una mutazione in corso connessa con l’invisibilità della tecnologia soft e la volontà di creare spazi relazionali in cui nuovamente centrali sono le attività e i rapporti tra le persone e le cose. All’insegna della fluidità, della virtualità, dell’a-storicità e della presenza-assenza del luogo: della sua riformulazione come immaginario e altrove.

Spread, KRAMLICH RESIDENCE AND COLLECTION BOOK. Via Kramlich Collection.

Orizzonte quest’ultimo che richiama tutta una serie di progetti ispirati alla filosofia del trasloco o al nomadismo, reale e elettronico, che riportano la speculazione architettonica verso la riconsiderazione degli involucri, come spazi materni, del sé, connessi e nel contempo disancorati e collocabili a piacimento all’interno della metropoli o al di fuori. Le boulle a vivre, gli abiti che si trasformano in tende o che incorporano la tecnologia, rappresentano modi di vivere diversamente, che interconnettono immaginari della fiction, sperimentazioni scientifiche, ricerche sui materiali e esigenze dell’uomo urbano contemporaneo: assiduo frequentatore di spazi di transizione, abitante e fautore della deterritorializzazione. La quale, al centro di ogni processo di costruzione della città contemporanea, si dà insieme come prodotto e motore della multimedialità. Per cui il nuovo ambiente nel quale ci troviamo a vivere sembra proporre diversi livelli di problematiche e altrettante possibilità progettuali ed esperienze umane, in cui si ritrovano interconnesse: spazialità fisica e territorialmente definita e spazialità virtuale delle reti, in un gioco di rimandi in cui la presenza dell’una nell’altra non si traduce in un semplice riflesso.

Tutto ciò rende l’attuale città della comunicazione, di cui la città dei media e dell’immagine fanno parte ma non solo, enigmatica, indicibile e non decodificabile, a tal punto da apparire essa stessa un immenso nonluogo sprofondato nel presente. Un presente in cui incroci, biforcazioni e universi paralleli pongono di fronte al “sempre possibile altrimenti” che connota ogni scelta esistenziale e processo di territorializzazione. La città come luogo effimero e in transito appare come un immenso palcoscenico in cui si giocano, assumono forma e credibilità le identità urbane; si incontrano e scontrano le diverse idee e progettualità sulla città; si fronteggiano narrazioni e vite intessute di sogni, emozioni, differenza e alterità. Nel mondo post-elettronico della globalizzazione, dove l’immaginazione è diventata un fatto quotidiano e collettivo, che muove verso espressione, autoproduzione e creatività, infatti desideri e paesaggi interiori si insinuano nella metropoli disegnando percorsi che riformulano la relazione tra sradicamento e località. Milioni di corpi di persone in movimento, per le più svariate ragioni, si affiancano allo scenario architettonico e introducono nuove qualità e dispositivi spontanei di elaborazione del senso in connessione con l’ambiente.

Ciò che comincia a fare la differenza tra una città e un’altra, una strada e un’altra, un territorio e un altro, non sono più solo l’architettura e i suoi simboli formali, ma le presenze umane: invadenti e varianti. Uniche cellule portatrici di vera diversità, eccezione, informazioni culturali profonde. Terminali di memorie viventi (Branzi Andrea, Interni, n.551, 2005). Gesti. Abbigliamento. Fisionomia. Che interrompono prospettive di panorami stabili e creano flussi irripetibili di scene antropologiche e semiotiche. Immettono schegge, lampi di luce e di colore, profusioni di fragranze lontane nello spazio-tempo di un istante. Lo spazio cittadino si rivela oggi come un tutto pieno fatto di oggetti, prodotti, messaggi, persone, che ci ricordano che il vero risultato della rivoluzione elettronica non è costituito solo dalle presenza delle tecnologie informatiche dentro all’ambiente, ma anche e soprattutto dalla presenza dell’umano, con la sua incontenibile anarchia formale, che impone una revisione di tutte le strategie tradizionali di organizzazione e progettazione.

 

Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.