KLCC Tower, Kuala Lumpur, Malaysia. Photo: Izuddin Helmi Adnan.

Le città contemporanee sono il teatro di scontro e d’incontro della dimensione locale con quella globale. In seguito a questo rapporto spesso vacillante e contraddittorio, lo spazio pubblico muta di aspetto e significato. Nelle metropoli postmoderne il mito del progresso economico senza limiti frantuma la società, contrapponendo quartieri alto-residenziali, iperconnessi, iperprotetti, con livelli di consumi elevatissimi a “sacche di emarginazione” popolate da disoccupati, homeless, sans papiers e criminali. Questa crescente segregazione e reclusione nello spazio privato è parte integrante dei processi di globalizzazione, che determinano una metamorfosi profonda all’interno del paesaggio. La proliferazione dei nonluoghi del consumo e del turismo e di quelli del confinamento ricercato, producono continuamente gated community che si trincerano in isole urbane con guardie armate e telecamere all’ingresso (Bauman Zygmunt, Fiducia e Paura nella Città, pag.50).

Empire City, Petaling Jaya, Malaysia. Photo: Izuddin Helmi Adnan.

Los Angeles è un esempio eloquente di questa crisi della sfera pubblica. Metropoli nata dallo sviluppo del terziario e dei servizi, non è stata influenzata paesaggisticamente dalla rivoluzione industriale e dall’imposizione del modello urbanistico moderno. Il tessuto urbano completamente decostruito e la pervasività della dimensione spettacolare la qualificano come scenario ideale delle contraddizioni postmoderne e contesto privilegiato di lettura di nuovi conflitti, che traslano dalla sfera materiale del sociale a quella immateriale della comunicazione. Il suo paesaggio, costruito da immagini elettroniche e dal potere di fascinazione del dreamscape, è esplicitamente prodotto per il consumo visuale (Canevacci Massimo, La Città Polifonica). Los Angeles è città-palcoscenico, in cui tutti sono nel contempo spettatori e attori che, facendo esperienza della liquefazione del confine tra rappresentazione e realtà, contribuiscono alla realizzazione di una vera e propria “opera d’arte totale” (Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.24).

Tun Razak Exchange, Kuala Lumpur, Malaysia. Photo: Izuddin Helmi Adnan.

Caratterizzata da un’elevata “porosità sociale”, la metropoli è disseminata da una molteplicità di spazi non compatti senza soluzione di continuità tra loro. Vuoti da riempire (Davis Mike, Città di Quarzo, pag.88-110), zone di contenimento, universi separati e conflittuali compongono un mosaico urbano che cresce progressivamente attraverso la sola potenza dell’“estensione indifferente”. Dalla militarizzazione dell’architettura degli edifici, all’innalzamento, evidente o camuffato, di barriere tra quartieri e settori popolati da differenti strati sociali, dal marcato rivolgersi verso l’interno di spazi commerciali e di svago, fino alla trasformazione di lussuose ville in autentici castelli, sono numerose e inequivocabili le tracce di una progressiva distruzione dello spazio pubblico, associata ad un’ossessione per la sicurezza, in relazione alla quale l’architettura e lo strapotere della polizia sono funzionali allo stile di vita delle classe medio-alta americana. In una città così rimodellata anche le categorie simboliche si modificano: la sicurezza è simbolo di prestigio, mentre il senzatetto svaluta i resti dello spazio aperto e comune, in cui classi, razze e culture diverse potevano, in passato, mescolarsi.

Malaysia International Trade and Exhibition Centre, Kuala Lumpur, Malaysia. Photo: Izuddin Helmi Adnan.

Nell’interpretare questo processo Mike Davis si concentra sull’analisi dei rapporti sociali connessi a questo genere di organizzazione spaziale. Riferendo della sua semiotica totalitaria, sostiene che la straordinaria proliferazione di rinnovate recinzioni cittadine dimostri come i caratteri di questa filosofia urbana si siano già fusi con una tendenza che si potrebbe definire “neo-medievale” (Davis Mike, Città di Quarzo, pag.205). Una tendenza affascinata dalla “casa-torre”, seppure tecnologica, e orientata alla creazione di una miriade di limiti e confini. La difficoltà di distinzione, tra polizia pubblica e polizie private, ricorda l’inadeguatezza dell’applicazione delle categorie di pubblico e privato nei rapporti politico-giuridici medievali (Davis Mike, Città di quarzo, pagg.217-218), testimoniando il definitivo superamento del modello sociale pertinente alla città moderna. Così il “vuoto” delle reti protettive ideate e amministrate dallo Stato determina una condizione di incertezza e insicurezza tali da spingere i “cittadini” a ricorrere da un lato alla progressiva privatizzazione dello spazio pubblico e dall’altro a soluzioni “fai da te”.

Bukit Bintang, Kuala Lumpur, Malaysia. Photo: Deva Darshan.

Esempi di queste condotte sono: il distretto finanziario di Bunker Hill, nel Downtown di Los Angeles, segregato, fortificato e sopraelevato rispetto al piano stradale; il condominio chiamato Desert Island, circondato da un fossato di dieci ettari; la casa bunker con facciata in metallo ondulato e priva di finestre costruita per Dennis Hopper a Venice; o quella super lussuosa che poco distante occupa una struttura in rovina coperta di graffiti falsando il rapporto con l’intorno (Bauman Zygmunt, Fiducia e Paura nella Città). Questa propensione a progettare e costruire case “non-appariscenti” o con esterni ostili, sempre più diffusa nell’architettura urbana americana contemporanea, è specchio di una società governata dalla paura e dall’intimidazione, in cui la frantumazione di un assetto sociale stabile determina il passaggio dalla segregazione elitaria alla prigionia. Il processo di formazione di queste enclave, però, non interessa solo il continente americano, bensì tutti i territori attraversati dalla circolazione del capitale internazionale. Come riferisce Zygmunt Bauman“la secessione della nuova élite globale, il suo distacco dagli impegni che aveva in passato con il popolo del luogo, e il crescente divario tra gli spazi in cui vivono i secessionisti e quelli in cui vive chi è stato lasciato indietro, è probabilmente la più significativa delle tendenze sociali, culturali e politiche associate al passaggio dalla fase solida alla fase liquida della modernità” (Bauman Zygmunt, Fiducia e Paura nella Città, pag.16).

21, Kuala Lumpur, Malaysia. Photo: Izuddin Helmi Adnan.

Assistiamo alla formazione di nuove gerarchie su base largamente extraterritoriale, determinate dall’autonomia di movimento di pochi rispetto a molti, ai quali, invece, è negata la possibilità di sganciarsi dal territorio, se non nella forma dell’espulsione o dell’abbandono forzato. Mentre la nuova extraterritorialità delle élite viene vissuta come una forma di inebriante libertà, la territorialità degli altri sembra sempre più assimilabile a una condizione di esacerbante prigionia. Le mura che un tempo venivano costruite per difendere le città, minacciate dall’esterno, oggi sono quelle virtuali che, all’interno della società della “trasparenza totale”, si innestano nelle pieghe del tessuto urbano, costruendo, come riferisce Neil Leach, la mimetica e “invisibile architettura del controllo sociale” (Domus, gennaio 2005, pag.91). È nella Londra contemporanea dove un tempo Jeremy Bentham pubblicò i suoi scritti sul Panopticon e George Orwell ambientò 1984, che l’ossessione per la sorveglianza diviene così radicale da trasformarsi in spettacolo. Le capsule di vetro del London Eye di Marks Barfield, consegnano la città ad un doppio processo di visione, trasformandola contemporaneamente in soggetto e oggetto dello sguardo.

 

Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.