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Che rapporto esiste tra mondo e téchne? Si domanda Tomás Maldonado in un recente articolo pubblicato su Il Verri (n.27, 2005). Quale legame sottostà a queste due nozioni? Ha senso considerarle separatamente come vuole la tradizionale impostazione dualista, oppure possiamo leggere la téchne come uno degli elementi fondamentali e insostituibili del mondo? (Maldonado Tomàs, Il Verri, n.27, pag.5). Domande brucianti che ci coinvolgono da vicino, dalle quali si dipanano una molteplicità di percorsi e di visioni sempre in contraddizione tra loro, eppure compresenti in ogni epoca. L’uomo occidentale è un ostinato fabbricante di dicotomie – natura-artificio; spirito-materia; vero-falso; bene-male; giusto-ingiusto; bello-brutto; etc…-, funzionali al suo desiderio di sapere, di comprendere, dominare il reale e l’alterità. L’opposizione di mondo e téchne appartiene a questo genere di logica, che a fasi alterne ha contraddistinto la nostra storia; la nostra inalienabile predisposizione all’osservazione e al pensiero: del Mondo come Natura e della Téchne come Arte, o come il “modo umano di fare qualcosa secondo arte” (Maldonado Tomás, Il Verri, n.27, pag.7). Di produrre artifici, nuove realtà che si vanno a sommare a quella esistente. Nel rapporto mondo- téchne leggiamo la contrapposizione natura-artificio, la separazione dell’uomo dall’ambiente naturale, il rifiuto dell’animismo, l’irrefrenabile istinto alla categorizzazione delle cose sensibili, il distacco del pensiero dal corpo, che diviene ancora più doloroso col passaggio dal politeismo al monoteismo, che si pone in stretta connessione – come ha dimostrato Hans Jonas – con l’ideologia determinista moderna (in La Cecla Franco, Jet-lag, n.27, pag.140).

Mistica della simpatia vs artificialismo

La separazione tra i due termini nasce nel momento in cui si pone l’accento sul saper fare dell’uomo astraendolo dal contesto naturale, attraverso la negazione della sua partecipazione ad un mondo animato, un mondo vivo, governato dalla mistica della simpatia. Questo genere di contrapposizione ha segnato profondamente la storia della cultura occidentale sin dalla classicità, dove il duro scontro tra naturalisti e artificialisti, ossia tra coloro per cui la natura si fa da sé e coloro per cui tutto, natura inclusa, è artificio (Maldonado Tomás, Il Verri, n.27, pag.7) ricorda le origini della nostra civiltà e il rifiuto di quello che successivamente (nella modernità in relazione alla “scoperta” dei popoli “primitivi”), e poi a torto, è stato definito “stato di natura”. Lucrezio in particolare fu uno dei principali esponenti dell’artificialismo. Sottolineando la tendenza della realtà (naturale) ad auto-organizzarsi, ossia a mutare le sue forme, strutture e funzioni nel corso del tempo, la identifica completamente con l’artificio. L’intervento umano considerato come un incedere dall’interno e non come un fare dall’esterno, si presenta come uno dei fattori di auto-artificializzazione della realtà stessa. Analogamente, Voltaire, in pieno periodo illuminista, afferma: “mi si chiama natura, ma io sono tutta arte”. L’affermazione di Voltaire in realtà è alquanto controversa, poiché fu proprio l’Illuminismo a legittimare la scissione tra Uomo e Natura ponendo le premesse della nascita della scienza moderna.

Natura come biosfera e socio-tecnosfera

Ciò dimostra quanto il tema sia di per sé contraddittorio, e come ogni visione del mondo sia il prodotto della cultura di un’epoca specifica e dei suoi rimossi; le credenze, le affermazioni e le verità spacciate per assolute vanno pertanto contestualizzate, e considerate per ciò che sono, per ciò a cui servono e per ciò che potrebbero diventare. La posizione di Voltaire però in questo caso coglie una sottigliezza che l’avvicina a quella di Maldonado (o meglio, a cui lui si avvicina a posteriori), per il quale ambiente naturale e ambiente umano sono tutt’altro che due compartimenti stagni. Parlare di natura, o ambiente, infatti, non significa solo prendere in considerazione la biosfera, ma anche e soprattutto la socio-tecnosfera. In altre parole considerare che “accanto alla sfera della vita vi è anche la sfera della produzione sociale e materiale degli uomini” (Maldonado Tomás, Il Verri, n.27, pag.8), che contribuiscono con le loro pratiche al mutamento dell’ambiente naturale di cui fanno parte. La lettura che la nostra cultura dà dell’uomo è quella di un “animale incompiuto”, privo di specializzazioni iscritte nel suo corredo genetico, con molte “deficienze” sensibili ma dotato di una grande immaginazione e di una peculiare capacità inventiva che lo hanno spinto a produrre artefatti – attraverso i quali estende e potenzia i propri sensi (sviluppa infatti protesi motorie, sensorio-percettive, intellettive, ecc…) – a manipolare l’ambiente e a creare lo spazio di produzione e riproduzione della società.

 

Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.  Parte I.