I parchi a tema hanno acquisito una crescente visibilità e centralità fra i luoghi del turismo e del consumo contemporanei, ponendosi come referente obbligato per la progettazione di shopping center, musei, aeroporti, villaggi vacanze, alberghi, casinò, ristoranti e città, con ricadute sul piano socio-culturale. Disneyland che viene considerato l’archetipo dei parchi ricreativi attuali e delle neotraditional town di matrice californiana, nella sua pretesa utopica di rappresentare un mondo senza confini tra fantasia e realtà, è la forma più compiuta di nonluogo turistico, il modello spaziale che ha ispirato l’architettura e la filosofia ricreativa della cultura del consumo postmoderna. Nato nel 1955, in California, è il capostipite di una serie di parchi analoghi: da Disney World a Orlando; a Tokyo Disneyland; a Euro Disney in Francia, che hanno contribuito a promuovere lo stile Disney anche all’estero. I suoi precursori sono i luna park, che però differiscono in quanto a ciclicità temporale, carattere nomade e aspetto artigianale. Il parco stabile invece è il frutto di elevati investimenti economici e appartiene ad un ordine di tipo capitalistico-indutriale, che identifica un tipo di offerta in cui si mescolano evasione, gioco, istruzione, tecnologie avanzate e consumo. La tematizzazione rappresenta il nucleo concettuale portante di questa nuova offerta economica, assegnando all’intero luogo specificità identitaria e coerenza interna.

Cozy Cone Motel. Fonte: Unsplash, Daniela Araya.

Tra il primo parco Disney e quelli ricreativi di oggi esistono delle differenze, date dai cambiamenti che si sono verificati in campo economico. Si parla di città del divertimento, ossia di parchi di terza generazione, che comprendono non solo attrazioni di varia natura e livelli tecnologici elevatissimi, ma anche shopping center, ristoranti e alberghi in vari stili, qualificandosi come veri e propri resort, dove passare le vacanze e non solo la giornata. Essendo in maggioranza di proprietà di società che si occupano di media, sono anche luoghi ad altissima densità comunicativa e pubblicitaria, in cui si consumano esperienze e si acquistano prodotti, dove si vive una sorta di “domesticità mediatizzata”, data dalla centralità assegnata alle figure dell’immaginario collettivo e dove si viene educati alla cultura del consumo e al consumo di cultura. Lo stretto legame che si crea tra questi spazi e i suoi frequentatori è costruito su un sentimento di appartenenza “catodico” e da identificazioni immaginarie. Una volta bucato lo schermo televisivo è possibile entrare come viaggiatori nel tempo in un mondo che prende corpo tridimensionalmente e che segue la medesima logica di flusso delle immagini.

Fonte: Unsplash, Daniela Araya.

L’universo Disney non è altro che questo: narrazioni che si staccano dai libri e atterrano; plot televisivi che abbagliano e risucchiano; sogni e desideri infantili che si materializzano. Per questo motivo c’è un’attenzione ossessiva nell’impedire di sbirciare dietro le quinte, per via del timore che “possano rendere visibili elementi che smentiscano la rappresentazione” (Amendola, in Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.160), innescando nel visitatore una riflessione che gli permetta di smontare le trappole dell’illusione. Lo scenario è concepito per avvolgere e isolare, i percorsi sono studiati per disorientare, gli eventi a getto continuo per distrarre e il ritmo della passeggiata per sottrarre il corpo al controllo della mente, promuovendo l’immersione totale. Lo spettatore è completamente coinvolto, costantemente bombardato, tutti i sensi sono stimolati. A questo proposito Bruno Sanguanini sostiene che l’esperienza del parco sia il risultato di una integrazione tra differenti esperienze vitali, che mettono a contatto il corpo in quiete, abituato al tempo-qualità della vita quotidiana, con elementi naturali e fattori di rischio, come: l’aria (giostre antigravitazionali, trenino nelle grotte, ecc.) l’acqua (scivoli acquatici, piscine, viaggio nel tronco, ecc.) la terra (viaggio nelle grotte, casa dei fantasmi, giro della morte, ecc.) il fuoco (grotte dei pirati, esercizi circensi, fuochi pirotecnici, ecc.) la luce (attrazioni all’aperto, cinerama, show di suoni e luci, ecc.) il buio (caverna delle montagne rocciose, case dei fantasmi, ecc.) velocità, profondità, simultaneità delle sensazioni psico-fisiche, peso e leggerezza del rapporto corpo-mente (Sanguanini Bruno, in Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.162).

Disneyland Park, Anaheim, United States. Fonte: Unsplash, James Hartono.

Le attrazioni artificiali, con la loro capacità di determinare reazioni corporee, sono ciò che rimane del sentimento d’avventura e della volontà di andare incontro al pericolo e all’ignoto, che un tempo caratterizzavano il viaggiatore moderno. Si tratta di un eroismo travestito, una simulazione che ha luogo sullo sfondo di una geografia di paesi che sfilano, ricostruiti per frammenti a partire da stereotipi culturali e immagini fantastiche. La Disneyland californiana si divide in otto paesi, un mondo condensato e riproducibile all’infinito, come il simbolo stesso di Walt Disney World: un mappamondo da cui escono le orecchie di Topolino e che esprime efficacemente la volontà della Disney di inglobare attraverso i suoi parchi a tema tutto l’esistente. Un altro riassunto di immagini è dato dall’EPCOT Center, che mette in mostra ambienti ricostruiti a sfondo educativo, divisi tra tecnologici e culturali. Una sorta di enciclopedia tattile e visiva, ricostruisce una summa della geografia culturale del pianeta con stand “nazionali” che si presentano come un concentrato di atmosfere che richiamano tratti architettonici tipici, suggestioni musicali, sapori, e molto altro, di Marocco, Norvegia, Cina, Germania, Giappone, Messico, Francia, Regno Unito, Italia e America. Si tratta di una galleria di luoghi comuni e di ritratti estatici che fanno parte dell’immaginario collettivo disneyano e internazionale Made in USA.

The Hollywood Tower Hotel. Fonte: Unsplash, Jakob Owens.

Per poter analizzare a fondo i parchi Disney, infatti, bisogna prima esplorare l’immaginario disneyano, e capire come gli elementi che lo caratterizzano siano stati tradotti. Come ricorda Marc Augè: “a Disneyland è lo spettacolo stesso che viene spettacolarizzato: la scena riproduce quel che era già scena e finzione (…) dietro lo schermo, c’è solo un altro schermo” (Augè Marc, in Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.162-163). La realtà è doppiamente distante e la percezione è quella dell’artificialità totale. Il viaggio come referente si perde nella memoria e non rimane neppure la sua parodia, bensì lo sconfinamento in un mondo assolutamente Altro, nuovamente “originale”. L’assenza di alterità è manifesta, viene accettata e celebrata dalla famiglia media, che del viaggio non affronterebbe mai le incognite, proprio nella sua versione edulcorata. Nell’arco di una giornata si può attraversare il mondo in una versione semplificata, ma anche resa più spessa dai flussi di immagini che si mescolano, come nella televisione. Il passaggio da un Paese all’altro e all’interno di uno stesso Paese da uno scenario all’altro e le continue sollecitazione a cui ogni visitatore è sottoposto, ricordano tanto l’attività schizofrenica dello zapping. Ciò che viene manipolato all’interno di questo universo eccedente sono solo segni, significanti puri, che servono al visitatore per orientarsi nel parco, non nel mondo, nella sua realtà autosufficiente sotto il profilo economico, culturale e sociale; che non intrattiene rapporti con l’intorno, ma solo con i circuiti dell’economia globale.

Fonte: Unsplash, Skylar Sahakian.

La presenza del parco tematico comporta la deterritorializzazione: ossia la riduzione del territorio circostante a residuo e pretesto. In questo modo il territorio perde il suo spessore culturale, diventa figura di secondo piano. “Il centro, autosufficiente, – come osserva Minca – annienta semanticamente e funzionalmente al suo interno quello che gli sta intorno” (Claudio Minca, Spazi Effimeri, pag.160). E come accade a Bali dove il riassunto della “balinesità” viene portato nei resort, così l’universo di Disney lascia il resto del mondo fuori, o al massimo ne raccoglie qualche frammento. Il processo di globalizzazione della cultura comporta l’estensione dell’estetica postmoderna all’intero globo, a partire dalle sue prime manifestazioni in seno alla cultura americana. La Walt Disney Co. rappresenta “un’espressione particolarmente incisiva e profittevole della rete multinazionale che orienta la nostra produzione culturale, i trend economici, la creazione estetica” (Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.161); e la “disneyficazione del quotidiano” si configura come un processo inarrestabile di riconfigurazione territoriale all’insegna del consumo, che comporta museificazione e ricostruzione di ambienti falsificati, spettacolarizzazione, tematizzazione e mercificazione delle risorse culturali. La sua diffusione come modello culturale e di divertimento riferisce di una progressiva americanizzazione del mondo connessa al fenomeno della globalizzazione. Sarebbe però riduttivo interpretare il complesso groviglio di comunicazioni planetarie come il risultato della “volontà di potenza” di un solo continente. In realtà si tratta di un modello che ha vita propria e che dialoga con la specificità di ogni territorio.

Disney, China. Fonte: Unsplash, Sean Lim.

Disney World non è solo un riassunto geografico, quanto piuttosto la “metafora spaziale del pianeta-mercato” (Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.162), dove Francia, Marocco, Messico e molti altri paesi, diventano shopping mall; dove arte, cultura e divertimento sono indistinguibili tra loro, a partire dalla loro mercificazione. Al suo interno siamo contemporaneamente dentro e fuori rispetto al mondo: dentro perché il mondo entra attraverso i flussi economici e nella sua versione semplificata; fuori perché siamo esclusi da quel groviglio di problematiche politico-sociali e economico-culturali che invece lo stanno “dilaniando”. Ciò che conta nell’universo di Paperino è il mellifluo fluire del proprio corpo e di nuove atmosfere sature di significati posticci. Lo spazio turistico postmoderno vive sui nonluoghi, in una dimensione a-territoriale, che di neutrale non ha nulla, perché è proprio la presenza all’interno dei territori di queste enclave di benessere e divertimento a innescare polarizzazioni e conflitti tra chi li abita. Lo spazio turistico viene considerato apolitico, ma ha delle implicazioni profonde che riguardano anche la politica. La deresponsabilizzazione del turista è il corrispettivo dialettico dell’eccesso di responsabilità e libertà, la soluzione apparentemente meno dolorosa di fronte al disorientamento e all’incertezza di un mondo che cambia troppo rapidamente.

 

Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.  Post Turismo, Parte II.