Taiwan. Photo: Tommy.

L’informazione che, come sostiene Jean Baudrillard (Sartori Giovanni, Homo Videns, pag.5), invece di trasformare la massa in energia, produce ancora più massa, altera profondamente la natura e la storia dei luoghi che, raccordati da un sistema reticolare policentrico e strozzati da una competizione serrata, smaterializzandosi, implodono. Nella geografia delle reti il territorio, che coincide con la mappa (Gras Alain, in Ortoleva Peppino, in Bonora Paola, Comcities, pag.70), si costruisce a partire dall’immaginazione, ossia da tutta quella serie di spostamenti fisici e culturali – dalle diaspore, al turismo, alla pubblicità, alla televisione, al cinema, alla realtà virtuale – che essa determina (Appadurai Arjun, Modernità in Polvere, pagg.76-77). L’immagine del mondo che ci viene trasmessa dalle nuove tecnologie di comunicazione esprime in tal senso il superamento dell’idea newtoniana di spazio assoluto riprodotto nelle rappresentazioni cartografiche. Nuovi modelli di riferimento diventano le geometrie non euclidee, la fisica quantistica, l’espressione artistica di chi ha saputo immaginare una realtà composta da più dimensioni.

Taichung City, Taiwan. Photo: Mark Ivan.

Mentre sul fronte filosofico, il pensiero a mille piani di Gilles Deleuze e Félix Guattari, attraverso la proposta interpretativa del rizoma, che sostituisce alla logica dell’”o..o” quella dell’”e..e”, delinea espressamente le possibilità di interazione, scambio e ricombinazione che si generano a partire dal movimento attraverso l’ipertestualità della rete. Il cyberspazio, inteso come il “luogo creato dalle nuove tecnologie dell’informazione nel quale i prodotti dell’interazione fra esseri umani e spazi (identità, territorialità, comunità) vengono realizzati in forma digitale” (Giorda Cristiano, Cybergeografia), in quanto territorio di comunicazione, si configura perciò come una realtà concreta; “spazio di sapere” (Lèvy Pierre, in Giorda Cristiano) che è già cyberscape (Fiorani Eleonora, La Nuova Condizione di Vita, pag.124): universo simbolico complesso che ispessisce la struttura narrativa del quotidiano e che motiva una riflessione rinnovata sulla categoria di alterità.

Photo: Mark Ivan.

Poiché, come scrive Marc Augé: “viviamo nell’era dei mutamenti di scala, in relazione alla conquista spaziale, certo, ma anche sulla Terra: i mezzi di trasporto rapido pongono le capitali a qualche ora di distanza al massimo l’una dall’altra. Nell’intimità delle nostre dimore, infine, immagini di tutti i tipi, diffuse dai satelliti, captate da antenne poste anche sui tetti del più lontano villaggio, ci danno una visone istantanea di avvenimenti in atto all’altro capo del pianeta. Certamente avvertiamo gli effetti perversi e le possibili distorsioni di una informazione le cui immagini sono inevitabilmente selezionate: non solo esse possono essere, come si dice, manipolate, ma l’immagine (che è solo una fra le migliaia di altre possibili) esercita un’influenza, possiede una forza che eccede di molto l’informazione obiettiva di cui è portatrice. Inoltre, è chiaro che sugli schermi del pianeta si mescolano quotidianamente immagini informative, pubblicitarie, romanzesche, di cui non sono identici né la trattazione né la finalità, almeno in linea di principio. Sotto i nostri occhi esse compongono un universo che nella sua diversità è relativamente omogeneo” (Augé Marc, Nonluoghi, pag.33).

Taichung City, Taiwan. Photo: Mark Ivan.

Nel mondo che si sta ricostruendo a partire dalla circolazione globale della comunicazione abbiamo continuamente a che fare con una pluralità di flussi corporei e incorporei che realizzano un mosaico complesso di interconnessioni che riferiscono di una “de-essenzializzazione” della cultura e con essa delle identità etniche e nazionali che, non essendo più entità ontologicamente date diventano il prodotto di una “posizione”, che si determina in relazione alla congiuntura di situazioni storiche, sociali, politiche, economiche ed intellettuali. Immagini e messaggi, che si concretizzano in corpi di persone e cose alla deriva in ogni dove, concatenano sistemi di relazioni complesse che finiscono con lo scardinare le categorie di rappresentazione del sé e dell’altro, generando un vero e proprio “sconquasso”, che interessa i soggetti quanto i territori. In una società atomizzata dove, come ricorda Paola Bonora (Bonora Paola, Comcities, pag.20), “il terminale sostituisce il contatto, il vicinato, l’identificazione emozionale ed empatica”, i luoghi stanno perdendo la capacità di generare e imporre significati all’esistenza. La mercificazione, frutto di un dominio sul territorio esercitato in absentia, più che rivalutarli li dissecca, lasciando che acquisiscano significato solo in relazione alle immagini che li evocano e negando loro la possibilità di controllare le interpretazioni che gli vengono assegnate dall’esterno (Bauman Zygmunt, Dentro La Globalizzazione, pag.5).

Photo: Mark Ivan.

La sfera globale che, appropriandosi dei significati e dei linguaggi patrimonio dei locali, spettacolarizza le culture particolari consacrandole all’altare del consumo, rende vulnerabili intere comunità per le quali l’”esserci” si gioca nella scelta tra l’esclusione e la partecipazione in posizione sbilanciata. Per questo, la natura dell’identità dei sistemi territoriali diventa un discorso complesso; se da una parte appare fluttuante, contestuale, situazionale, sempre più spesso costruita dai circuiti della comunicazione globale, dall’altra la proliferazione dei localismi e dei fondamentalismi ci pongono di fronte alla necessità di una valutazione più approfondita del fenomeno in atto. Questi ultimi, infatti, vanno letti come tentativo di difesa e di risposta di chi si trova in una condizione di marginalità che, attraverso la rivendicazione di forme di appartenenza ad una tradizione culturale passata, recuperata o ricostruita, o ad una ideologia presente, procede al ripristino di quelle cornici di senso che il sistema dei “flussi culturali globali” tende a diluire.

Photo: Mark Ivan.

Occorre ad ogni modo distinguere tra forme di rigetto che – negando l’accesso al territorio realizzano una condizione di autoesclusione e progettualità alternative che, attraverso la messa in rete in orizzontale delle identità locali e lo sviluppo di relazioni intersoggettive all’interno delle comunità territoriali, strutturano una possibile globalizzazione dal basso (Magnaghi Alberto, in Dematteis Giuseppe, in Bonora Paola, Comcities, pag.56) in grado di generare valore. Sistematiche strategie di chiusura possono divenire pericolose anche per chi le mette in atto, nel momento in cui traslano dal piano normativo a quello cognitivo. L’apertura verso l’esterno che determina acquisizione di energia informata, quando praticata consapevolmente, rappresenta un’opportunità utile alla riproduzione dei sistemi territoriali. Come riferisce Claudio Minca: “la tendenza al disordine e al dispendio di energia, l’entropia, aumenta, infatti, nei sistemi chiusi, mentre l’apertura con l’esterno garantisce una molteplicità di percorsi, un rapporto cioè non deterministico con l’ambiente e con gli altri sistemi, che può accelerare o al contrario invertire il processo di entropia” (Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.30).

Photo: Mark Ivan.

Per evitare fenomeni di acculturazione e adattamento agli input esterni trasmessi dalle reti globali è necessario che i locali facciano dell’autoreferenzialità la condizione necessaria per promuovere forme di auto-rappresentazione e autoprogetto che affondino le loro radici nella relazionalità e nella capacità di metabolizzare gli elementi innovativi che essa porta con sé. Le norme, che fondano l’esistenza di un sistema territoriale, non devono mutare in relazione al flusso di informazione proveniente dall’esterno, condizione che determinerebbe una perdita di autonomia, ma al contrario appropriarsene attraverso procedure cognitive proprie del sistema nella sua specificità (Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.31). A questa stregua, posizioni subalterne possono essere ribaltate dalla capacità dei locali di capitalizzare e personalizzare le informazioni globali.

Photo: Tran Phu.

Stimoli identici possono originare risposte differenti che testimoniano della vitalità del sistema. Le nuove tecnologie e la rapidità dei trasporti stanno notevolmente cambiando il nostro modo di concepire il senso della distanza, l’idea di posizione, di luogo e il ruolo delle frontiere che, da barriere di divisione e periferie degli stati centrali, diventano sempre più centri di relazione, nodi strategici per lo sviluppo, aree di sperimentazione e di formazione di nuovi legami tra territori limitrofi e lontani, sia in ambito culturale che economico. I rapporti che i locali possono stringere tra loro grazie alle reti lunghe della comunicazione elettronica configurano uno spazio di opportunità, il cyberspazio, in cui ad ogni comunità, gruppo o individuo viene concessa la libertà di esprimere la propria carica di “potenziale” in relazione al contatto con l’alterità.

 

Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.