Abbiamo ancora gli occhi imbevuti di un arancio-tramonto mentre Suzanne Ciani, la compositrice statunitense, pioniera della musica elettronica, nel bosco di Villa Arconati – locus amoenus del Festival Terraforma, quest’anno giunto alla sua quarta edizione – si lascia avvolgere da un’energia luminosa, restituendola attraverso i suoi droni oscillanti, esplorando sempre di più l’“unpredictable”. La sensazione è quella di una continua e inarrestabile sperimentazione del potere evocativo dell’elettricità, come direbbe lei nell’intervista che segue: “un inarrestabile movimento tra le onde”. 

Suzanne Ciani- Courtesy the artist and Terraforma Festival.

V: Realtà e immaginazione. Una relazione importante nell’arte ma non solo. Hai lavorato in pubblicità, anche se pochi sanno che sei l’autrice del Pop ‘n Pour, il sound effect che ha iconizzato la Coca-Cola. Come si progetta un suono?

SC: Tutto comincia da una delusione. Apri una bottiglia di Coca-Cola e non accade nulla, compri delle patatine e non è interessante. La realtà non corrisponde al suo ideale. Eppure c’è bisogno di un suono più reale del reale, per aiutarci a rappresentarla. Per progettare un suono bisogna arrivare all’essenza di un’azione. L’idea forte è un’illuminazione che si traduce in una micro-composizione. Nell’advertising ci sono finita per necessità, ma ho sempre avuto una particolare inclinazione per le composizioni brevi e condensate, perché al loro interno c’è tutto quello che può essere espanso.

V: Qual è la differenza tra lavorare ad una composizione breve e ad una lunga?

SC: Una composizione breve è più strutturata. Sin da quando andavo a scuola, quando ascolto una composizione estesa, come una sinfonia, penso sempre che si possa riassumere in un’idea più circoscritta, sebbene l’evoluzione avvenga nel tempo. Il movimento è tempo. Quando suoni il Buchla devi imparare a controllare il movimento del suono. Normalmente quando suoni uno strumento fai un gesto e ottieni un suono, con il Buchla è diverso, con un gesto si possono ottenere più suoni, cioè più direzioni. Quindi per me una composizione lunga è un’idea che viene estesa nel tempo, dove si ha la possibilità di scegliere le direzioni in cui farla andare.

 

 

V: Guardando retrospettivamente il tuo lavoro, vedi un’evoluzione?

SC: Non parlerei in termini di evoluzione, ma di attitudine e consapevolezza. Quando si è giovani si privilegia una forma di rappresentazione e un’espressività più letterali. Andando avanti con l’età ci si libera, e si inizia a seguire il movimento delle macchine.

V: C’è differenza tra suonare il Buchla oggi e in passato?

SC: Una delle differenze principali è che oggi si può avere un maggiore controllo, perchè lo strumento combina digitale e analogico. Ad ogni modo io non uso il digitale, anche se mi consente di avere più spazio per la memoria. Certamente rispetto al passato la versione contemporanea è più facile da portare in viaggio, le dimensioni sono ridotte ma creativamente ho sviluppato le mie abitudini.

V: Quando fai un live parti con un’idea chiara in mente?

SC: Solitamente comincio con qualcosa di familiare, poi mi lascio coinvolgere dal momento, come nel jazz, seguendo l’unpredictable e concludo tornando da dov’ero partita. È un viaggio circolare ma dove si segue l’incertezza. All’interno di un set trovano spazio momenti atmosferici, soft o hard, tutti i sentimenti vengono evocati.

 

 

V: Che cosa ne pensi dell’errore e dell’incertezza?

SC: Li amo molto. Sono più interessanti del ripetere lo stesso percorso. Quando accade qualcosa di inaspettato puoi scegliere di seguirlo o cambiare direzione.

V: Perchè hai intitolato il tuo album The Velocity of Love?

SC: Ho voluto giocare con la parola velocità. Da un lato perché è una grandezza scientifica, dall’altro perché è diventata il paradigma di un mondo che si pensa in chiave ‘fast’. Quando si parla di amore invece tutto accade lentamente. Quindi The Velocity of Love fa riferimento alla lentezza delle mie composizioni.

V: Ricerchi la novità in ciò che fai?

SC: Non ci penso mai. Non ho l’interesse nell’essere nuova, o percepita come tale. Ho una prospettiva circolare. Nel 1910 per esempio la musica era permeata dal caos, poi è scomparso e tornato. Non sono molto incline a pensare in maniera concettuale, preferisco il fare, utilizzando gli strumenti che ho a disposizione sul momento. L’elettronica è scienza ed emozione. Il sintetizzatore è uno strumento che trova fondamento nell’elettricità e Don Buchla è stato il Leonardo da Vinci della musica elettronica, colui che è riuscito a esprimere al meglio, attraverso uno strumento, la sua dimensione performativa. Non smetterò mai di diffondere la sua fama di pioniere e grande designer.

 

https://www.youtube.com/watch?v=GiXMsLkHFkg

 

V: Qual è la differenza tra comporre musica classica ed elettronica? Usando il Buchla per esempio.

SC: Questa è davvero una bella domanda. Posso rispondere citando due album: Seven Waves e Velocity of Love. Sono entrambi elettronici ma sono anche stati scritti su carta. Non per intero naturalmente, perchè nell’elettronica c’è sempre un margine di libertà. Volendo essere più specifici, ci sono due possibili approcci alla musica elettronica: le performance live, come quelle che sto facendo con il Buchla, che è nato per essere suonato dal vivo; e la musica che viene realizzata in studio, dove per fare una traccia si mixano progressive registrazioni. Io procedo diversamente: non utilizzo samples, non creo niente prima, il suono prende forma sul momento, a partire dal movimento. Sentire il movimento significa percepire il moto delle onde. A Life in Waves non a caso è il titolo del mio documentario.

 

sevwave.com