Per catturare la complessità delle mutazioni che avvengono all’interno del corpo urbano contemporaneo, è necessario prestare particolare attenzione al contesto immateriale della comunicazione tra i soggetti e l’ambiente che essi formano e informano con le loro relazioni. L’obsolescenza della società come centro ci spinge verso altre direzioni di lettura, che assegnano un’importanza primaria agli scambi semiotici e alle pratiche umane di distruzione e ricostruzione. La comunicazione globale inserendosi nella stratificazione sociale e di classe, penetrando nella discriminazione etnica, tra paesi ricchi e poveri, tra i tanti nord e i tanti sud del mondo, plasma i rapporti di potere, coagula i conflitti e innesca nuovi processi di produzione di valore e di senso. Se è vero, come precisa Gregory Bateson, che non è possibile trasferire il territorio sulla mappa, bensì su di essa può essere trascritta solo la differenza (Canevacci Massimo, La Città Polifonica), allora parlare e descrivere la realtà polimorfa della metropoli significa decostruirla costantemente attraverso la proposta di interpretazioni soggettive, che possono prodursi a più livelli e provenire da più parti.

The Supertree Grove, Gardens by the Bay, Singapore. Photo: Paul Wetzel.

Bisogna prestare attenzione alle categorie che si usano per interpretare il sistema di relazioni che interessano i locali all’interno del mondo globale, rifiutando ogni pretesa di universalità, oggettività o classificazione definitiva. Per questo motivo, ritornando al problema della trasformazione del contesto urbano operata dai flussi dell’economia globale, occorre notare che, se da un lato la crescente moltiplicazione di centri commerciali o spazi di aggregazione del pubblico prodotti da privati stanno prosciugando la vita dei quartieri, dall’altro producono nuove pratiche e valori, in termini economici e comportamentali. All’interno dei templi del consumo soggettività fluide e diasporiche costruiscono e radicano la propria identità sociale attraverso l’esperienza dello shopping. Queste architetture collettive, definite da Marc Augé nonluoghi e da Vanni Codeluppi supermerci, sono la trascrizione spaziale di una “maniera economica di essere insieme” (Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.8) che tende a privilegiare l’aspetto ludico-ricreativo rispetto a quello contrattuale.

The Supertree Grove, Gardens by the Bay, Singapore. Photo: Kit Suman.

In questi luoghi delle emozioni e del desiderio, in cui entra in scena una forma di carnacialesco da pastiche televisivo, le relazioni sociali e le identità sono costruite come palinsesti attraverso il consumo di merci e immaginari collettivi. L’identità nomade dei consumatori non avendo più nulla a che fare con dei legami culturali di natura territoriale, muta costantemente mediante operazioni di travestimento, che inscenano una forma di socialità provvisoria e altamente instabile. Questo gioco liberamente scelto di reificazione in molteplici immagini di sé oltre ad esprimere l’euforia connessa alla disidentificazione, serve da conforto ad un corpo collettivo debole, costituito da soggetti simili ma solitari, per i quali “il fatto di essere insieme è più forte del motivo che sta alla base del legame” (Maffesoli Michel, in Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.9). L’importanza assunta da queste nuove forme di socialità libere da vincoli predeterminati, tenute insieme dalla condivisone di segni della moda e da emozioni temporanee, persuadono Vanni Codeluppi ad affermare che: “nel momento in cui il classico concetto di “luogo pubblico” tende a scomparire , perché semplicemente perde di significato la determinazione culturale dei luoghi storici della città, la società rende “pubblici” dei luoghi che sono sostanzialmente privati, in quanto come le “supermerci” , sono posseduti da qualche società, ma trasforma anche il corpo in una sorta di nuovo “luogo pubblico”, una sede decisiva per gli scambi sociali di informazioni e dove circolano quei flussi comunicativi che sono oggi assolutamente necessari per la costituzione e il mantenimento dell’identità individuale” (Codeluppi Vanni, in Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.10).

The Supertree Grove, Gardens by the Bay, Singapore. Photo: Annie Spratt.

Lo shopping diviene la pratica centrale all’interno della nostra vita quotidiana, trasformandola in un’esperienza di finzione, a cui viene assegnato un preciso valore economico. “Guardando, toccando, scegliendo ci assicuriamo modelli di vita, strutturiamo la nostra identità, ci rendiamo appetibili a nostra volta come merci o come oggetti d’amore o di simpatia” (Fiorani Eleonora, La Nuova Condizione di Vita, pag.116). Di qui l’importanza della personalizzazione di massa, strategia attuata da molti brand per avvicinarsi al cliente finale attraverso un rapporto empatico e amichevole, che punta al suo coinvolgimento totale in una storia che viene scritta a più mani, da parte di tutti i soggetti che partecipano a questa effimera comunità. Per questo motivo, il concetto di esperienza è centrale nell’attuale cultura del consumo che, assegnando un valore primario alla dimensione dell’intrattenimento, sta trasformando rapidamente il mondo in un grande palcoscenico interattivo. Tutti i beni vanno “esperienzializzati” e messi in scena nei nuovi luoghi del consumo che assumono sempre di più i connotati di interfacce sociali, allo scopo di catturare l’attenzione del consumatore.

L’obiettivo è quello di immergere l’ospite in un mondo altro, penetrarlo a livello sensibile, sottrargli l’identità reale e assegnargliene una artificiale, trasformandolo in attore. Come osservano Joseph B. Pine e James H. Gilmore, teorici dell’experience economy: “per mettere in scena esperienze estetiche i designer devono riconoscere che nessun ambiente ideato per creare un’esperienza è reale (il Rainforest Cafè, per esempio, non è una foresta pluviale), non dovrebbero cercare di ingannare i loro ospiti per far credere loro che si tratta di qualcosa che in effetti non è” (Pine II Joseph B., Gilmore James H., L’Economia delle Esperienze, pag.42). Ecco allora, l’importanza assegnata alla ricostruzione metonimica degli ambienti, all’artificializzazione, al sincretismo comunicativo e alla riproduzione maniacale in scala ridotta. Tutte costanti che ritroviamo nei parchi Disney, dove questa estrema dimensione finzionale diviene ossessione maniacale per lo spazio vuoto e orrore per il dietro le quinte. Il fuori viene visto come lo spazio comune, banale, privo di reale potere attrattivo, mentre l’ingresso, o meglio l’immersione, nel dentro è già esperienza rituale d’accesso all’assolutamente altro; al mondo speciale in cui educazione ed evasione, felicità e conoscenza si incontrano, in un caleidoscopio di immagini prive di spessore, tutte da consumare e da dimenticare.

 

Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.