In occasione dell’appuntamento estivo di Tranceparenti, che ha portato ai Bagni Misteriosi l’elettronica ancestrale di Craig Leon, accompagnato da Le Cameriste Ambrosiane, nel live di Nommos, lo abbiamo intervistato per saperne di più su la sua Anthology of Interplanetary Folk Music

V: Nommos inizialmente doveva essere un album orchestrale. Poi che cosa è successo?

CL: Quando l’ho ideato volevo che fosse orchestrale, ma ero agli albori della mia carriera e non avevo i soldi per realizzarlo in quel modo, perchè la label per cui doveva uscire era molto piccola. Dato che aveva molte percussioni, ed erano anni di apertura e sperimentazione, mi consigliarono di utilizzare il sintetizzatore. Così feci e prese la forma che tutti conoscono.

V: L’altra sera però avete suonato una versione orchestrale.

CL: Sì, ma si trattava di una piccola orchestra, un quartetto. E avevo i synth e le drums nel computer. Mi piacerebbe fare una versione totalmente orchestrale, forse accadrà con il secondo volume, su cui sto lavorando. Se lo realizzeremo live con una grande orchestra, sicuramente lo registrerò.

V: Stiamo parlando di una seconda versione, intesa come prosecuzione, oppure si tratta di una variazione dell’originale?

CL: È la stessa storia, la leggenda dei Nommos, che fa parte della cosmogonia dei Dogon, ma racconta un altro evento sulla Terra, pur facendo parte dell’Anthology of Interplanetary Folk Music.

https://www.youtube.com/watch?v=FlYlb7Fvv_U

V: I Dogon sono stati una popolazione di cui gli antropologi hanno scritto molto.

CL: Sì, ci sono diversi dibattiti in atto sulla loro esistenza. Ma a me questo aspetto non interessa, per me è importante la storia di supernatural fiction.

V: Qual è la storia originale?

CL: La storia che fa capo ai Dogon, apparteneva alla loro religione. Ne sono venuto a conoscenza grazie a una mostra dedicata alla loro produzione artistica, al Brooklyn Museum di New York, molti anni fa. Mi ha affascinato perchè ho trovato diversi parallelismi con la nostra cultura; soggetti simili. In più c’erano queste creature, i Nommos, molto lunghe, che venivano da un altro mondo. Erano acquatiche e secondo la leggenda, avevano portato la conoscenza sulla Terra. Questo è il motivo per cui ho scelto di suonare sull’acqua. I Nommos avevano insegnato ai Dogon a costruire le case, a coltivare il cibo, a utilizzare gli animali per lavorare. Tutti aspetti che si ritrovano anche nella Bibbia. All’interno della nostra cultura però sono stati scritti, mentre nella loro sono stati tramandati oralmente e attraverso opere d’arte. Proprio da quelle ho ricavato i nomi delle tracce di Nommos.

V: I Dogon sono famosi per avere una cosmogonia molto complessa, antecedente allo studio scientifico del cielo e delle stelle. Difficile immaginare come l’abbiano elaborata..

CL: Questo è l’aspetto interessante della storia dei Nommos, anche se potrebbe trattarsi di visioni psichedeliche. Quando tornai a casa dalla mostra però mi concentrai sull’aspetto leggendario, pensando che tra tutte le conoscenze portate dai Nommos ai Dogon, doveva per forza esserci anche la musica. L’idea di una musica che provenisse da un Altrove lontano ha ispirato l’album e la successiva ricerca su forme che fossero “elementari”. L’ispirazione preponderante dell’album proviene dalla musica africana ed è stato sviluppato a partire da una scala pentatonica. È stato pensato in volumi, in maniera che ciascuno di essi potesse raccontare un diverso periodo della storia. Quindi il secondo volume la porta in Grecia, il terzo ai tempi del Medioevo e il quarto torna indietro al pianeta originario.

Craig Leon, courtesy the artist.

V: Se la storia si sposta nel Medioevo anche i riferimenti musicali sono di quel periodo?

CL: In parte, però il principio è quello di creare una nuova forma di musica. Anche se addentrandosi nella musica medievale si scopre che non è molto distante da ciò che sto cercando di realizzare. Per la musica occidentale il ruolo di quella medievale è molto importante. Attraverso la musica gregoriana si è cercato di creare un sistema di armonia che permeasse tutto. Non è esattamente quello che ho fatto io, ma all’inizio ero partito con quest’idea. La tradizione gregoriana si è poi sviluppata nel tempo, conducendo alla classica che tutti conosciamo. Al tempo di Wagner, Debussy, Erik Satie si è tornati nuovamente alle origini, ad una musica che non è molto distante da quella dei Nommos. Su cui ho lavorato seguendo anche la mia punk attitude.

V: Quanto c’è nell’album di questa tua attitudine?

CL: Molto, soprattutto nel tentativo di seguire sempre strade non comuni. Anche la storia della realizzazione dell’album, per esempio, è interessante. Il titolo originale era Anthology of Interplanetary Folk Music Vol 1, ma era troppo lungo. Nella tradizione della musica folk americana c’è un’opera fondamentale: The Anthology of American Folk Music 1-2-3-4, composta da quattro album che prendono il nome dagli elementi naturali, di Harry Smith, che la pubblicò nel 1951. Questo lavoro è stato di grande ispirazione per una generazione di musicisti accomunata dall’idea di realizzare musica folk, come Bob Dilan. È stata la loro Bibbia, a tal punto che sulla scorta di questo lavoro diedero vita ad un vero e proprio movimento politico, che poi si trasformò nella rivoluzione degli Anni Sessanta.

https://www.youtube.com/watch?v=hv2YYyC0RgU

V: Mi dicevi che i nomi delle tracce ripropongono quelli delle statute della mostra al Brooklyn Museum. Mi piace molto Four Eyes To See The Afterlife.

CL: Sì, esattamente. Quella statua femminile in particolare ha una bella storia: quando gli antropologi chiesero ai Dogon perchè avesse quattro occhi, loro risposero che due occhi servivano per vedere in questa vita e gli altri due oltre, cioè dopo la vita.

V: Un vero e proprio viaggio nell’Altrove insomma..

CL: Se la musica è davvero programmatica come i lavori dei Nommos, può trasportarti in un altro luogo. Se ascolti Debussy, per esempio, puoi davvero viaggiare in un altro mondo.

V: Ho sempre pensato alla letteratura, o al cinema, come media in grado di sottrarci alla realtà per entrare in un’altra. La musica l’ho sempre ricollegata al sentire, ma mai al viaggio dell’immaginazione.

CL: Invece la musica può farlo, quando parte dalla matematica. Questo è il motivo per cui Harry Smith nella sua opera aveva realizzato formule molto complesse. La matematica interagisce con il cervello. Ma non voglio addentrarmi in discussioni neurologiche…

V: Forse ogni popolazione è partita dalla matematica…

CL: Certo, la matematica non è tanto le formule che la compongono ma il linguaggio. Se si riesce a sviluppare un’opera in forma matematica, poi si possono sostituire le note ai numeri. A partire dalla matematica si può fare musica, arte visiva, i palazzi stessi. Molte chiese in Europa sono state costruite a partire dallo stesso principio matematico, come la musica che veniva suonata al loro interno. Questo è il motivo per cui quel suono armonizzava in quello spazio. Le frequenze della musica all’interno di quei luoghi la rendono meditativa, proprio in virtù di questa correlazione numerica. Pauline Oliveros scrisse diversi saggi sulla relazione tra la musica e il luogo in cui viene suonata, e sugli effetti che provoca nel cervello.

V: Ho letto che un’altra influenza importante è stato Le Ballet Mécanique.

CL: Sì, per quanto riguarda la struttura del suono. L’ultimo pezzo che ho suonato l’altra sera, che farà parte di uno degli album successivi al primo, è ispirato a Le Ballet Mécanique, che è un lavoro incredibile se si pensa che è stato eseguito col pianoforte.

V: La fascinazione per la fantascienza invece da dove deriva?

CL: In realtà non si tratta di fantascienza ma di supernatural fiction, che è un genere che affronta questioni di natura spirituale o alternativa. Esattamente come Nommos. Uno dei miei autori preferiti è Arthur Machen.

V: Minimalismo e New Age, possiamo dire che siano entrambi presenti in Nommos?

CL: Certamente, da un punto di vista compositivo l’album ha un approccio minimalista. Mentre la New Age è esattamente il mondo filosofico a cui si richiama e di cui abbiamo parlato.

 

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