Still da video di Sorry We Missed You di Ken Loach.

La transizione dal fordismo al postfordismo, ossia da un’economia di mercato, in cui libertà e autonomia sono sinonimo di possesso, a un’economia reticolare in cui appartenenza e condivisione della proprietà sono prerogative dell’accesso, rappresenta lo scenario all’interno del quale si inserisce l’ultimo film di Ken Loach, Sorry We Missed You, un’accorata riflessione sull’impatto della gig economy sulla gente comune, presentata alla 72a edizione del Festival di Cannes. Se è vero che a guidare i nostri spostamenti e desideri sono i mutamenti di scala e l’influenza esercitata dalle immagini dei media, basti pensare alle forme di “toyotismo familistico e paesano” attraverso cui i paesi in via di sviluppo cercano di erodere la distanza che li separa dal “primo mondo”, nondimeno bisogna sottovalutare come risponde lo stesso Occidente alle spinte sempre più estreme e disgreganti del capitalismo.

Still da video di Sorry We Missed You di Ken Loach.

La nuova condizione di vita metropolitana che oppone enclave iperconnesse, caratterizzate da una semiotica totalitaria e neo-medievale, dietro cui si trincerano le élite, e architetture di vetro dove, come nella Londra contemporanea, la democrazia al lavoro diventa oggetto di spettacolo, intrecciando modello panottico e sinottico, a sacche di emarginazione, zone buie nella geografia urbana dove va in crisi la forma città, con le sue funzioni e come luogo di incontro e dello scambio, non è più la sola a riferire delle trasformazioni in atto. Che cosa accade infatti nei piccoli centri, attraversati dai flussi globali, dove però il capitalismo non si innesta, cioè non delinea un suo territorio e non si riproduce? Ken Loach sceglie Newcastle per parlarci dei costi umani di un’economia deterritorializzata. Il film comincia con una lunga e dettagliata intervista all’interno di un ufficio per corrieri. Ricky (Kris Hitchen) ha una famiglia, due figli e ha perso il lavoro, dopo la crisi del 2008.

Still da video di Sorry We Missed You di Ken Loach.

La moglie Abbie (Debbie Honeywood) si occupa di anziani e disabili come infermiera e badante, con un contratto precario. La seducente promessa del capitalismo contemporaneo, incarnato dalle multinazionali, è quella di emancipare il lavoratore dalla subordinazione dei padroni, trasformandolo a sua volta in un imprenditore, responsabile del proprio destino. L’idea di poter prendere finalmente in mano la propria vita, il miraggio di un guadagno più soddisfacente garantito a fronte dell’impegno, diventa l’arma a doppio taglio, che conduce ad una nuova schiavitù una classe molto variegata. Maloney (Ross Brewster), lo spietato manager che gestisce la compagnia locale di corrieri indipendenti, obbliga Ricky a acquistare a rate il furgone con cui fare le consegne (per riuscirci Ricky deve vendere l’unica automobile di famiglia, con cui la moglie si reca ogni giorno al lavoro, complicando ulteriormente la sua vita), gli offre quindi la possibilità di possedere i “mezzi di produzione”, e gli consegna lo scanner digitale attraverso cui il suo tempo e la sua performance saranno costantemente sorvegliati. Prima di tutto da Ricky stesso.

Still da video di Sorry We Missed You di Ken Loach.

Sarà lui a trovarsi in una condizione di dipendenza e indipendenza, senza le tutele del lavoratore moderno. Ricky lavora con, non per, la multinazionale, che impiega corrieri a domicilio. Sulla base di tematiche molto scottanti, Paul Laverty costruisce una sceneggiatura raffinata, soprattutto nella specificità e ricchezza di informazioni che vengono trasferite allo spettatore attraverso i dialoghi, in cui la direzione della caduta è tracciata, e non può essere in alcun modo invertita. Più sventure accadono al protagonista, più la crisi investe la famiglia. Il peso della disperazione trasforma normali problemi di crescita in conflitti, la stanchezza che vince il corpo e la mente spinge inesorabilmente verso scelte estreme. Ricky, che dopo essere stato assalito, col volto sfregiato e claudicante, non potendosi permettere il riposo, salta sul suo furgone per tornare al lavoro. Fuori senno, esasperato, ulteriormente impoverito dalla promessa di una vita migliore, di cui rimane il miraggio dentro un cuore pieno di rabbia.

 

Recensione pubblicata su Artribune.