Chi è Clint Eastwood? Viene sempre da chiederselo ogni volta che le luci si spengono e nel buio della sala ci prepariamo a una sua storia. Un uomo dal fascino raro, silenzioso, un narratore limpido, dalla parte degli eroi senza fortuna. Umano fin nei minimi dettagli. Che cosa l’ha reso ciò che è? Potremmo dire, prima di tutto, la sua vita. Icona del western all’italiana di Sergio Leone, è con il controverso ispettore Harry Callaghan che attira le antipatie degli intellettuali, o meglio, le critiche dell’America di Woodstock e della Nuova Hollywood. Pauline Kael, giornalista di punta del New Yorker, e fautrice di quell’orientamento alla critica sociologica che aprì nuovi scenari alla narrazione, nel suo rifiuto della stilizzazione del rapporto tra Bene e Male, è forse la principale responsabile della lotta avviata da Clint nei confronti dei personaggi interpretati, di quel bisogno di scindere l’attore dalla maschera, e poi la persona e persino l’autore da quei ruoli che gli erano stati così bene cuciti addosso fino a minarne l’identità.

 

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Clint Eastwood regista è anche (ma non solo) una conseguenza di come il cinema e i media l’hanno rappresentato. Un reazionario, che ha ricalcato un immaginario di destra, perché nei film d’azione, a quei tempi, la manifestazione del Male non era accompagnata da analisi riguardanti le cause o il contesto che potevano averlo determinato. Così dagli Anni Settanta comincia la sua inesorabile liberazione. C’è un po’ di Eastwood in Richard Jewell? Forse sì, perché l’eroe che ci presenta questa volta, interpretato da Paul Walter Hauser, è un uomo comune, anzi, un uomo invisibile ma con dei tratti che potremmo definire “machisti”. Innocente, non ingenuo; entusiasta ma ossessivo in una forma quasi patologica. Un uomo sovrappeso, che a più di trent’anni vive con la madre, fedele alla legge e all’ordine come ogni buon conservatore, talvolta con accenti quasi autistici. Un uomo che crede nel potere della divisa, anche se il suo futuro legale Watson Bryant (Sam Rockwell), all’inizio della storia lo ammonisce di non diventare uno “stronzo” una volta che ne indosserà una; che risponde continuamente “Yes, sir”; così abituato ad essere schernito da aver sviluppato una propensione all’attenzione e alla gentilezza, che manifesta attraverso piccole accortezze e regali, dallo snack alla lattina di cola, per essere accettato. Il rapporto con la madre Bobi (Kathy Bates) è carico di affetto e comprensione. Lei incarna quel supporto ostinato tipico di chi ha ricevuto poco dalla vita e ha imparato a farselo bastare.

Watson Bryant (Sam Rockwell), Bobi Jewell (Kathy Bates), Richard Jewell (Paul Walter Hauser).

Un ottimismo forzato, forse semplicemente una focalizzazione al quotidiano, ma non senza speranza. Ed è proprio qui che Eastwood innesta la tragedia. Può un uomo del genere essere un eroe? Non potrebbe al contrario essere colpevole? Ma facciamo un passo indietro. Il 27 luglio 1996, una bomba fatta in casa esplode durante la manifestazione dei Giochi Olimpici al Centennial Olympic Park di Atlanta. A dare l’allarme è un sorvegliante di nome Richard Jewell, che fino all’ultimo non viene preso sul serio dalla polizia (la caratterizzazione del personaggio raggiunge la comicità: quel giorno Richard non sarebbe dovuto andare al lavoro, a causa di un seccante mal di pancia ma lo fa, come sempre, per eccesso di zelo) e poco dopo si trasforma in un eroe nazionale. Tutti vogliono intervistarlo. Un libro sulla sua storia, comprensivo di ghostwriter, è già “pronto” per essere dato alle stampe. La madre assiste alle celebrazioni televisive, la loro vita da quel momento non sarà più la stessa. Il sogno di ogni americano. Eppure l’entusiasmo dura poco. La mattina dopo, una vittoria si trasforma nella più bruciante delle sconfitte, nel più doloroso degli abusi, nella più grande mistificazione della Verità.

La giornalista e reporter Kathy Scrugg interpretata da Olivia Wilde.

Chi sono i responsabili? L’FBI e i media, l’ambizioso e frustrato agente Tom Shaw (Jon Hamm) e la giornalista senza scrupoli e fatale Kathy Scrugg (Olivia Wilde) dell’Atlanta Journal-Constitution. Inoltre, un precedente licenziamento getta ombra sull’uomo semplice. Uno come Richard che cosa sarebbe disposto a fare per aderire a quell’immagine di protettore, salvatore della Patria, eroe del rispetto dell’Ordine e della Legge, che ogni giorno va vaticinando nella sua misera esistenza? La colpevolezza non teme l’assenza di prove, l’assalto e l’assedio diventano la condizione di vita di Richard e Bobi, trincerati nella propria umile abitazione per mesi. Lui eroe poi vittima trasformata in carnefice, lei schiacciata dal peso della vergogna, dell’indignazione e dell’ingiustizia compiuta nei confronti di quel figlio così amato. Il discorso di Bobi ai microfoni dei giornalisti non potrà lasciarvi indenni. Un momento carico di compassione, in cui il cinema torna a denunciare la società, le passioni più vili e le differenze di classe che, in maniera desolante, possono condurci dall’orgoglio al pregiudizio.