Potremmo dire: il cinema nero è finito, lunga vita al cinema nero! Senza dubbio è un’affermazione forte, ma un’ala degli spettatori “bianchi” potrebbe essersi stancata. Non senza ironia, forse anche con una certa crudeltà, di chi sta seduto in sala a guardare. Ma viviamo in tempi di grandi aperture apparenti, e qualcuno deve prendersi la responsabilità di dirlo. Le storie si trasformano, ma i paradigmi si replicano. Ci sono conflitti da cui non si esce, come gabbie, a maggior ragione se vengono amplificati da media virali. Il rischio è grande: trasformare l’arte in esperienza di sensibilizzazione nei confronti delle minoranze. “Forse bisognava tornare sul tema del razzismo” afferma Steve McQueen in conferenza stampa alla quindicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, con riferimento al caso di George Floyd, all’intensità con cui l’abbiamo vissuto mentre eravamo reclusi nelle nostre abitazioni per colpa della pandemia e al movimento Black Lives Matter, che ha rappresentato un’occasione di mobilitazione in grado di oltrepassare confini e frontiere, fisici e mentali. Diciamo piuttosto che non si poteva non tornare a parlarne, perché oggi l’espressione artistica sembra inscindibile dall’attualità. Alla crisi della politica corrisponde l’attivismo digitale quotidiano, il bisogno di sentirci responsabili o pronti a responsabilizzarci sempre e dovunque.

Leroy Logan (John Boyega) in Red, White and Blue di Steve McQueen.

Va detto che il progetto Small Axe, che comprende una collezione di cinque film, inizialmente pensati come episodi di una serie televisiva, di cui abbiamo visto Red, White and Blue, sulla carta ha undici anni e il fatto che poco sia cambiato in questo lasso di tempo la dice lunga sull’urgenza di queste operazioni, sulla necessità di continuare a lavorare sulla trasformazione della società a partire dal cinema, su quella rabbia, che neppure l’estrema compostezza di McQueen riesce a nascondere. Le ferite storiche non si rimarginano mai completamente, ma possiamo cambiare il nostro modo di guardarle? Fino a quando il cinema nero continuerà a raccontarle senza oltrepassare il piano del conflitto sociale? Anche se con una sua originalità, la storia di Red, White and Blue, tratta da accadimenti reali, vede ancora una volta contrapporsi polizia e comunità nera. Leroy Logan è un giovane ricercatore di colore, che in seguito al pestaggio del padre da parte delle forze dell’ordine, sceglie di arruolarsi con lo scopo di cambiare il sistema dall’interno. Una decisione che genera conflitti su più fronti: la sua comunità lo considera un traditore; il padre, che l’ha educato per essere “più inglese degli inglesi” (essendo la storia ambientata a Londra), lo rimprovera di abbandonare un futuro di integrazione, prima di tutto intellettuale, grazie a una professione “nobile”, per sporcarsi le mani sulla strada; nel corpo di polizia va incontro a più forme di razzismo, trovandosi solo, persino in una situazione di pericolo sul campo.

McQueen porta sullo schermo un personaggio incrollabile, pieno di rancore, che esplode in domande disperate di fronte alle ingiustizie, ma eroico, indisponibile e incapace di abbracciare la violenza. Senza lati oscuri, debolezze, insicurezze che potrebbero renderlo non solo più umano, ma decisamente più complesso. Ed è di fronte a questo tipo di personaggio e storia, tutto sommato molto regolare, che ci domandiamo: quando inizierà il cinema nero a pescare a piene mani dall’inconscio? Quando potrà realmente emanciparsi da conflitti sociali fin troppe volte rappresentati? Quando avremo delle storie uniche, diverse, con personaggi di colore antieroici, di autori di colore capaci di oltrepassare la dialettica dello scontro con la controparte bianca o la società patriarcale? Se succederà, il cinema nero rinascerà.

 

Festa del Cinema di Roma