Alla 200esima release per la danese Posh Isolation, e dopo l’uscita del sesto album dei Damien Dubrovnik, Great Many Arrows, Loke Rahbek e Christian Stadsgaard affrontano un tema urgente: la musica come “testo aperto” nella Internet Age. Al centro c’è il corpo, perché è attraverso la sua estensione e disseminazione in Rete che il paradigma cambia, che il modo di lavorare sulla musica include lo sperimentalismo delle avanguardie, che il collage diventa la modalità compositiva privilegiata, come dice Loke, nell’intervista che segue, “non solo da un punto di vista concettuale, avendo sempre fatto parte della musica, bensì di abitudine, perché Internet ha creato una nuova coscienza”. 

In Great Many Arrows la visceralità performativa del duo danese si proietta in studio, e quello scenario brutalmente “physically demanding”, affamato di sollecitazioni e narrativo, nella capacità di raccontarsi attraverso indimenticabili immagini, che al palco sostituiscono la dinamica dell’happening, incontra la melodia, restituendo un’interiorità fragile e caotica, caratteristica di una contemporaneità digitale in cui ripiegamento egoico e bulimia di traiettorie delineano un nuovo sentire.

V: I Damien Dubrovnik sono un duo. Come vi relazionate creativamente? Da che tipo di scambio nasce la vostra musica?

LR: Sia io che Christian non abbiamo un background musicale tradizionale. Per lavorare insieme abbiamo dovuto creare il nostro linguaggio. Pensare attraverso immagini è stata la scelta più immediata. Un modo per confrontarci che prescindesse dalla metrica. Il collage è una pratica che ci appartiene, esattamente come alla musica elettronica in generale.

V: Qual è il vostro rapporto con le vecchie e nuove tecnologie nel dare forma al vostro stile? I media cambiano la nostra percezione della realtà. Oggi la multimedialità ci rende profondamente interdisciplinari o crossdisciplinari.

LR: Sì, certamente. Internet è entrato nella mia vita quand’ero molto giovane, creando una nuova coscienza. È impossibile immaginare il mondo senza. Specialmente quando si lavora. Ispira esattamente quella pratica del collage di cui parlavo poco fa. Le informazioni viaggiano in più direzioni e sei costretto, non solo come artista, ma prima di tutto come individuo, a frammentarle, campionarle. Farle tue in qualche modo. L’influenza sulla musica è evidente, anche da un punto di vista compositivo.

 

 

V: Che cosa pensi della relazione tra la musica e le altre forme d’arte? Recentemente ho intervistato Keiji Haino e ho chiacchierato con lui a proposito del significato della perfomance. Richiamandosi ad Antonin Artaud, ha sostenuto di voler realizzare una sorta di “improvisational sound theatre”. Che cos’è per te la perfomance?

LR: Penso che sia prima di tutto una forma di comunicazione, un modo per veicolare dei messaggi in grado di avere un forte impatto sul pubblico ma anche su se stessi. Per questo motivo le dedico spazio nei live.

V: L’attitudine performativa viene più dal punk o da una fascinazione per l’arte?

LR: Nel caso di Keiji Haino è interessante il parallelismo con Antonin Artaud. Per quanto riguarda me, non sento di dover risalire fino alle teorie del teatro per approfondire il discorso sulla perfomance. Sono più orientato a combinare l’Azionismo Viennese con uno show punk.

V: Certo, diciamo che è più la centralità dell’esperienza corporea che mi interessa approfondire..

LR: Penso si tratti più di un esperimento personale, che mi permetta di creare uno scenario physically demanding e di riflettere sulla risposta fisica. Che poi comporta un cambiamento del suono.

V: Un cambiamento in che senso?

LR: Ogni tipo di performance, anche un dj set, punta a creare uno scenario in grado di relazionarsi e interagire col suono. Una band rock può usare come elemento spettacolare il fuoco, un rapper dei ballerini, due modalità che comunque non sono appropriate per il nostro suono. Per questo motivo abbiamo dovuto trovare il nostro linguaggio, il nostro immaginario in grado di armonizzare con la nostra musica. Per esempio, in passato, col disco precedente, ho fatto performance molto fisiche. Penso che il corpo sia il mezzo più immediato per ottenere una reazione da qualcuno, perchè richiama la necessità degli essere umani di reagire l’uno nei confronti dell’altro.

Damien Dubrovnik, Posh Isolation.

V: La perfomance può essere un medium narrativo?

LR: Sì, certamente.

V: La utilizzi in questo modo?

LR: Il fatto che possa essere uno strumento narrativo non significa per forza raccontare una storia. Io la utilizzo per creare uno scenario in grado di tradurre visivamente ciò che sta accadendo nella musica. Però non è teatro, perchè come ricorda Marina Abramović, ciò che la distingue da quest’ultimo è che “il sangue è vero”.

V: Great Many Arrows che cosa rappresenta per i Damien Dubrovnik e per la Posh Isolation?

LR: È la duecentesima release dell’etichetta, la prima è uscita otto anni fa ed era molto diversa. Credo e spero ci sia stata una progressione. Potrei dire che questo disco l’ho sempre immaginato. E sono felice che adesso esista, non più solo nella mia mente.

V: Quanto tempo ha richiesto?

LR: Per scriverlo? Mi verrebbe da dire: gli otto anni in cui abbiamo lavorato insieme.

V: Hai un approccio concettuale alla musica?

LR: Credo sia difficile rispondere affermativamente, ma non posso neppure negarlo del tutto. Come ho già detto noi partiamo dalle immagini e progressivamente scriviamo il disco, come una sorta di viaggio ambientale nell’immaginazione.

Great Many Arrows, Posh Isolation.

V: Proprio ieri sera stavo guardando The Fog di John Carpenter e riflettevo sul perchè mi piacesse. E la risposta è semplice: richiama la mia infanzia, perchè ho vissuto per lungo tempo in un luogo dove c’era sempre la nebbia..

LR: È esattamente quello che intendevo. Troviamo in noi stessi le immagini da proiettare nello schermo della nostra mente.

V: Con la Posh Isolation come vi relazionate al mercato della musica?

LR: Diciamo che se fossi stato un businessman avrei scelto di dedicarmi ad altro! Non avrei fondato una label noise. Ovviamente si cerca di capire cosa funziona o meno, ma si tratta di portare avanti un progetto che amo. Il motivo per cui l’abbiamo fondata è stato l’estrema libertà, perchè non volevamo che nessun altro ci dicesse cosa fare.

V: Fantascienza, paranormal, horror. Cinema, letteratura, serialità. Sono una fonte di ispirazione?

LR: Non direi. Non credo di volermi allontanare troppo dal mondo reale. Ci sono talmente tante stranezze che succedono, così tanti spunti.

 

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