The World To Come è una prova di resistenza. Intendiamoci, non siamo qui a mettere in dubbio il potenziale interesse della storia, né la regia di Mona Fastvold, che riesce ad esser austera come la rappresentazione della vita contadina e nel contempo delicata come una farfalla che si posa di fiore in fiore, né quella preziosa lentezza che tanto ci dice dell’epoca e dell’esistenza della sua protagonista Abigail (Katherine Waterston), nel nord dello stato di New York a metà dell’Ottocento.

The World To Come, still da video.

Siamo qui a domandarci perché questo film che racconta di un amore segreto tra due donne, in un periodo storico in cui il silenzio e il rifiuto di affrontarlo e accettarlo sarebbero state le scelte più corrette, ci sia sembrato una grande occasione persa per scandagliare l’animo umano dei suoi personaggi. Quello che ferisce di più forse è la monotonia, usiamo questo termine in senso musicale, la reiterazione del medesimo paradigma degli incontri tra Abigail e Tallie (Vanessa Kirby), a cui però non corrispondono una crescita e variazione del sentimento o delle situazioni che possono generare conflitto, né all’interno della coppia, né con le loro controparti maschili. E quando parliamo di conflitto non facciamo riferimento ai passi della Bibbia citati meccanicamente dal marito di Tallie per tornare a sottomettere la moglie alla legge patriarcale, né alle poche e arrendevoli battute pronunciate Casey Affleck, la cui occupazione principale o via di fuga rimane il lavoro fisico, per un uomo la cui mente sarebbe votata alla scienza. A rendere ancora più ripetitiva la narrazione c’è la scelta del diario.

The World To Come, still da video.

Pagine che si sfogliano, giorni che passano, emozioni che ci vengono trasferite dal voice over più che dalle relazioni tra i personaggi. Un film letterario o epistolare? Sarebbe bello poterlo definire così, ma non crediamo di trovarci di fronte a una forma ben riuscita di narrazione cinematografica alternativa. Anche la morte della figlia di Abigail viene liquidata come un “grande dolore”, enunciato ma che non lascia traccia sul corpo del personaggio e dell’attore, perché, sembra volerci dire l’autrice, la sua protagonista è come fosse anestetizzata e deve scoprire, attraverso un inaspettato coinvolgimento emotivo omosessuale, il vuoto reale della propria vita, il senso profondo di quei pensieri che le vorticano in testa prima di addormentarsi, che parlano di un matrimonio più subìto che voluto. “Il mondo che verrà” dunque è quello nuovo, dove due donne possano amarsi liberamente e alla luce del sole, senza doversi piegare ai doveri e ai ruoli imposti dalla società. Un tema attuale per un storia che non convince fino in fondo, soprattutto se nella propria esperienza cinematografica recente c’è un film come Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma.

 

Biennale Cinema 2020.