Ricardo Ferreira Freitas sostiene che il mall sia contemporaneamente copia (rapporto di somiglianza con un originale) e simulacro (rapporto di similitudine e tradimento rispetto a un modello) del reale: copia, in quanto forma transnazionale che rispetta una struttura architettonica di base, e simulacro, perché proposta di un luogo “safe” in cui si manifesta una sorta di simulazione della sicurezza (Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.72- 73). Ciò che risulta ben più reale è che lo shopping mall stia diventando la metafora geografica della nostra condizione di cittadini-consumatori. All’interno degli shopping mall è tutto un passeggiare attraverso ambienti urbani sapientemente ricostruiti dove lo spettacolo non manca mai. Concerti, manifestazioni folcloristiche, rappresentazioni artistiche sono il vuoto simulacro di un tempo della festa distante ma necessario. La retorica che guida il recupero nostalgico di tempi e figure del passato vive nell’Europa Boulevard del West Edmonton Mall, uno dei più grandi centri commerciali al mondo, secondo solo a quello di Bloomington, in Minnesota, soprannominato, per via delle dimensioni e delle innumerevoli attrazioni, The Mall of America.

Xiqu Centre, Tsim Sha Tsui, Hong Kong. Photo: Chapman Chow.

Il Boulevard è la reminiscenza di una strada lussuosa dall’aspetto francese-europeo, dove la tematizzazione si spinge al punto da incorporare nella scenografia anche veri ritrattisti di Montmartre e Campo de’ Fiori, che vendono i loro schizzi ai turisti di passaggio. Il paesaggio simulato a cui danno vita i mall riprende l’iperrealismo disneyano, coniugando simboli del passato, del lontano, dell’altrove, del naturale, del futuro, con le icone del consumo globale e la spettacolarizzazione delle merci. Massimo Canevacci osserva che negli shopping mall di nuova generazione: “lo shopping oscilla tra il farsi museo e farsi theme-park. Un nuovo potente ibrido in cui consumo, divertimento, tempo libero, comunicazione, media, sport si rincorrono e si incrociano l’uno con l’altro e tutti con gli altri” (Canevacci Massimo, in Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.75). Il mall diventa il luogo dove i “cittadini” vanno al cinema, in banca, alla posta, a intrattenersi, a far giocare i bambini, a fare sport, a fare la spesa, a incontrarsi con gli amici, a fare tutto ciò che prima si faceva in città. Lo shopping mall diventa una città nella città, o meglio: una contro-città. La differenza consiste nel sovvertimento delle relazioni spaziali che vengono sostituite da relazioni fondate sull’immaginario collettivo (Urry John, in Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.169).

Jewel Changi Airport, Singapore. Photo: Rita Chou.

Lo spazio interno è iper-progettato, iper-significato, ricco di citazioni, di continui rimandi esotici e richiami allegorici noti: la statua del suonatore di Fox Trot è New Orleans, la caravella di Colombo è la scoperta dell’America, il vaso Ming è l’antica Cina, Main Street è la strada urbana americana. Stereotipi e cliché che dalla letteratura, al cinema, alla televisione hanno contribuito a costruire l’immagine di luoghi e tempi e che localizzandosi entro uno stesso spazio forniscono l’erronea percezione della domesticità del mondo, coerente con la sensibilità postmoderna che tutto frammenta e rimpicciolisce. L’archetipo del mall postmoderno è dunque proprio il West Edmonton Mall, opera faraonica della Triple Five Corporation inaugurata nel 1981. Con i suoi 828 negozi alternati ad attrazioni turistiche, a micro contesti etnico-storici-esotici, a servizi di ogni genere e parchi del divertimento, è stato pensato a partire dal sogno di realizzare l’ottava meraviglia del mondo: un viaggio virtuale attraverso l’anarchico immaginario collettivo americano. In questo universo senza gerarchie e senza centri si trovano: Bourbon Street, che con la sua carrellata di ristoranti etnici simula, con il tema di Dixieland, la famosa strada di New Orleans; il Carrousel, nota giostra tradizionale, che con i suoi cavalli dipinti a mano stupisce per l’”autenticità” della riproduzione; lo show dei delfini; l’Europa Boulevard, che regala una passeggiata dal sapore parigino sotto una cupola di vetro stile galleria urbana; Fantasyland, il più grande parco dei divertimenti indoor del mondo; il Galeone, perfetta riproduzione in scala 1:1 della Santa Maria di Colombo; il Palazzo di Ghiaccio; l’Hotel di Fantasyland nel quale scoprire the ultimate escape from reality (“la fuga definitiva dalla realtà”): 360 stanze di cui 120 a tema, dall’Arabia de Le mille e una notte, ai tempi dei romani, al sogno polinesiano, a quello dei night-club hollywoodiani, per finire con il World Waterpark, la più grande piscina indoor del mondo, con spiaggia e onde artificiali per fare surf.

Interior store. Photo: Andrea Ang.

Il WEM è un pianeta in bottiglia dove stili del passato, atmosfere del presente e tecnologie del futuro si incontrano e dialogano tra loro generando un paesaggio caotico e incoerente, iper-complesso e frastornante, in cui disorientamento, frenesia e compulsione, divertono e stremano milioni di turisti ogni anno. Questo genere di logica nell’attuale fase surmoderna finisce col colonizzare anche altri spazi, tra cui in primis gli aeroporti; che ben lungi dall’essere considerati semplici luoghi di transito, si stanno già rapidamente trasformando negli shopping center del futuro. Quello di Denver, inaugurato nel 1955, presenta ristoranti a tema, librerie, sale di videogame, gallerie d’arte, negozi di vitamine, musei; quello di Hong Kong progettato da Norman Foster, è una costruzione dalle dimensioni spropositate che dalla terra ferma sconfina su una parte di oceano; quello di Francoforte funziona più come centro commerciale che come vero e proprio aeroporto, per via della sequenza infinita di ristoranti etnici, negozi d’abbigliamento all’ultimo grido, centri estetici, di benessere, sexy shops, nonché per la presenza della più frequentata discoteca della città. In alcuni casi la tematizzazione rappresenta una strada per conferire a questi spazi un significato più incisivo e accogliente; così nascono gli aeroporti a tema, come quello in stile New Age di Oslo. Inaugurato nel 1998 ha un aspetto estremamente rilassante: circondato da alberi e costruito interamente in materiali naturali, per ridurre al minimo l’impiego di cemento, è caratterizzato da un’enorme vetrata che gira tutt’intorno riducendo fortemente l’impatto ambientale. Internamente un’atmosfera sospesa cala sulle opere d’arte, disseminate ovunque. Vi si trovano anche una “camera del silenzio” per la meditazione e sei postazioni che consentono di ascoltare i suoni della natura.

The Vessel, New York, United States. Photo: Lerone Pieters.

La disneyficazione del quotidiano si spinge in altri spazi urbani, come: le stazioni, i downtown rivitalizzati, i waterfront riconvertiti, i centri cittadini gentrificati. È tutta la città a pensarsi in modo nuovo, all’insegna della teatralità, della ricreazione, del commercio di cultura e della chiusura spettacolare. Basti pensare a Las Vegas che illumina il deserto e intrattiene i suoi visitatori non più solo col gioco d’azzardo ma con gli alberghi a tema; a Orange County, quell’ampia zona della California al cui interno si trova Disneyland, le cui simulazioni rispetto all’intorno sembrano quasi folcloristiche e datate. “Orange County – osserva Edward Soja – sta lasciando dietro di sé queste città assolutamente false, creando nuovi e magici recinti per una fantastica riproduzione del totalmente reale” (Soja Edward, in Codeluppi Vanni, Lo Spettacolo della Merce, pag.194). Sembra quasi non esistere più alcuna differenza tra i nonluoghi turistici e le metropoli contemporanee dove si sono fuse le sfere del commercio, del divertimento, dell’educazione, della produzione, del sapere scientifico e umanistico all’insegna del consumo culturale. La passione vernacolare del postmoderno si insinua nei nuovi downtown e nel recupero delle aree portuali dismesse (urban waterfront), dove operazioni finanziarie a metà tra il pubblico e il privato realizzano complessi su larga scala che per la combinazione originale di alberghi, centri ricreativi e culturali, negozi, abitazioni, uffici, affiancati a edifici storici restaurati, rimodellano le città come palcoscenici sfavillanti (Goss, in Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.180).

Centre de commerce mondial de Montréal, Montréal, Canada. Photo: Sebastien Cordat.

L’Aker Bridge di Oslo è un esempio significativo di questo processo di restyling, rifunzionalizzazione e tematizzazione: all’insegna della “marittimità”. Si configura come un nuovo scenario urbano, un frammento di spazio commerciale che vive sulla memoria sintetica di un trascorso marino e che si candida a nuovo spazio sociale e attrazione turistica. Gli iperspazi del postmoderno stanno muovendo le città indoor, spingendo verso la privatizzazione di frammenti del tessuto urbano. Infiniti ordini brillano ciascuno di luce propria, senza la possibilità di essere fruiti democraticamente da tutti. È però proprio la natura selettiva di questi nonluoghi a renderli attraenti: perché tendono a escludere qualsiasi manifestazione sociale spontanea (spettacoli, propaganda, elemosina) che possa contaminare la loro atmosfera purificata. A questo proposito raro e sovversivo è il caso del Forum des Halles, un centro commerciale che mantenendo lo spirito “trasgressivo” del precedente mercato (raso al suolo nel 1979 per costruire il centro), lascia convivere all’interno delle sue moderne gallerie commerciali una gran varietà di “tribù” metropolitane.

Commissary Restaurant in LA. Photo: Kayleigh Harrington.

Questo caso naturalmente non solleva questi spazi dalla pesante avversione che molti nutrono nei loro confronti e delle logiche che sottendono la loro costruzione. Se alla luce di queste valutazioni non appare più plausibile considerare in maniera deterministica i rapporti spazio-società, dall’altra bisogna riconoscere che la nuova realtà che questi luoghi propongono, può aprire frontiere ancora tutte da esplorare. Già si sta pensando al virtuale, spingendosi verso la creazione di spazi tridimensionali dove ci si possa immergere, toccare oggetti, provare sensazioni e emozioni assolutamente “altre”. Claudio Minca parla di virtual holidays comodamente da casa, anche se l’impiego del virtuale non è una novità. Non solo la Hyatt Regency Hotel promuove la visita alle proprie resort attraverso la realtà virtuale; e la società giapponese Matsushita distribuisce stazioni simulate per palestre e fitness club, grazie alle quali i turisti del virtuale infilandosi gli appositi caschi hanno la sensazione di trovarsi in ambienti particolarmente rilassanti; ma anche nei nuovi parchi sistema il virtuale ha già fatto il suo ingresso da tempo. In questi “mondi viventi specializzati” dove tutto si confonde, il visitatore è trasformato in attore, gli artifici sono invisibili e non esiste più distinzione tra realtà e verosimiglianza. Tutto accade soltanto all’interno del cervello umano: nella sede dell’immaginario.

 

Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.  Post Turismo, Parte IV.