Le città che si stanno specializzando più come luoghi di relazioni legate alle attività di servizio, alla produzione, alle attività culturali e ricreative che come luoghi residenziali, divengono contemporaneamente ospitali e inospitali a seconda dei segmenti di popolazione che accolgono e respingono. Pur avendo perso molti abitanti appaiono più utilizzate, ricche di funzioni e congestionate che in passato. Accanto alla popolazione residente, in flessione, e ai pendolari, sta crescendo nelle città la presenza di altri tipi di popolazioni urbane che vi soggiornano per periodi più limitati, per svolgervi parte delle proprie attività di lavoro, relazione, attivazione di contatti e conoscenze, per fare acquisti, per ragioni di consumo culturale o ricreativo. Se la città tradizionale era il luogo di residenza e di lavoro, la città attuale tende a caratterizzarsi anche come luogo di scambi e di attività ricreative. Stanno emergendo nuovi gruppi di utenti-abitanti delle città che esprimono nuovi bisogni e domande di consumi urbani.

Adjamé Market, Abidjan, Ivory Coast. Photo: Eva Blue.

Questi gruppi non hanno un impatto diretto sulle aree residenziali e sulla domanda abitativa, se non per la crescente, anche se non ancora quantitativamente rilevante, richiesta di residenze secondarie e di servizio. Incidono indirettamente favorendo con la loro nuova domanda di consumi, processi di trasformazione e valorizzazione di alcuni quartieri delle città, che possono anche mettere a rischio la possibilità di permanenza degli abitanti tradizionali. La quantità crescente di dati-informazioni che connettono una molteplicità di cittadini-utenti-consumatori-navigatori della rete determinano significative ricadute sul territorio urbano che, sempre più agito da scopi diversi e concorrenti, tende a configurarsi come una “sorta di confederazione di progetti individuali, sottoposta a numerose forze evolutive” (Palmesino John, in Fiorani Eleonora, La Nuova Condizione di Vita, pag.128).

Sotto la spinta alla terziarizzazione le imprese rilocalizzandosi al di fuori della città consolidata, nel territorio frammentato della metropoli diffusa, determinano lo spostamento di quote sempre crescenti di popolazione in prossimità di zone periferiche, dove si assiste alla concentrazione di centri multifunzionali di erogazione di servizi. La pervasività della presenza in prossimità di aree residenziali decentrate di shopping mall, ipermercati, cinema multisala, risponde alla soddisfazione delle nuove e molteplici esigenze del cittadino-consumatore, compresa quella di socialità. Va rilevato però che alla pressante domanda di servizi e di accessibilità non fa seguito un’altrettanto attenta valutazione delle qualità ambientali dei luoghi di vita. Di conseguenza alla città sfavillante della comunicazione e delle aree gentrificate si affianca la città che deborda e sconfina negli slum, nei sobborghi, nei ghetti, nelle bidonvilles, nelle favelas, e nei campi profughi.

Adjamé Market, Abidjan, Ivory Coast. Photo: Eva Blue.

Si produce allora una città ibrida che presenta alcuni caratteri urbani, in assenza di altri e si qualifica come un miscuglio di realtà insediative. Forse non è neppure più corretto parlare di città né di metropoli in senso moderno, poiché la nuova realtà che ci si trova ad analizzare è quella di un territorio caratterizzato dalla compresenza di fenomeni di segno opposto. Jean Baudrillard a questo proposito parla della città non come di una forma in divenire, quanto piuttosto di una rete che si estende (Fiorani Eleonora, Tutto da Capo, n.3, pag.6), dove domina il cambiamento inteso come mutamento di rotta, alterità, multiversalità, disintegrazione e ricostruzione continua di piccoli, medi, grandi circuiti, che convivono e entrano in conflitto lasciando “sul pavimento della nostra complessa realtà” stratificazioni disordinate di frammenti che riempiono lo spazio.

Adjamé Market, Abidjan, Ivory Coast. Photo: Eva Blue.

Circuiti elettronici, vettori corporei che incontrandosi generano nuove e sorprendenti connessioni. Possiamo parlare di “un’urbanità virtuale” (Baudrillard Jean, in Fiorani Eleonora, Tutto da Capo, n.3, pag.6), che produce configurazioni inattese e inimmaginabili. Il paesaggio si pone come terreno di confronto, ambito disciplinare ibrido e fertile, all’interno del quale osservare l’evoluzione di dinamiche sociali, economiche, ambientali che trasformano la città. Occorre quindi riflettere sui fenomeni che trasformano lo scenario urbano e territoriale europeo che dalla metà degli Anni Settanta operano nel segno di una perdita progressiva di senso del tradizionale confine della città consolidata in favore dell’affermarsi di un’idea di territorio-città come risultante di una pluralità non omogenea di processi insediativi, di modelli sociali di comportamento e uso dello spazio. La città diventata territorio si pone come entità in grado di contenere al suo interno un insieme non ordinato di centri urbani, aree produttive, agricole, archeologiche che si accompagnano a spazi per il consumo e il tempo libero, a zone residenziali con diverse densità abitative.

Adjamé Market, Abidjan, Ivory Coast. Photo: Eva Blue.

Emerge il concetto di landscape city volendo sottolineare come, una volta superato il confine tradizionale città-campagna, la città-territorio si costituisca come un mosaico variegato di situazioni. È un processo che mette in discussione l’idea stessa di città e l’insieme dei connotati simbolici e identitari che stanno alla base del concetto di urbanità. Con la perdita di senso delle categorie descrittive tradizionali (centro-periferia, città-campagna, pubblico-privato) si fa strada l’ipercittà, come paradigma di un processo di frammentazione-diversificazione dello scenario territoriale in una molteplicità di paesaggi, nell’ordine della discontinuità percettiva e della perdita di senso dei tradizionali valori di riconoscibilità dei luoghi.

Photo: Akinloye Seun.

Alle tranquillizzanti visioni frontali del paesaggio-documento si sostituisce uno scenario complesso e intricato generato dalla sovrapposizione di modelli insediativi differenti in un patchwork che coinvolge e modella tanto il tessuto produttivo dislocato quanto il territorio agricolo, sottoposto a trasformazioni nel segno di una crescente urbanizzazione e smaterializzazione dei processi produttivi. Ciò che viene meno è l’armonia, tradizionalmente alla base della “nostra” (europea) concezione della città come spazio ordinato, omogeneo, caratterizzato da edifici simbolici e luoghi riconoscibili. Al suo posto prende forma un paesaggio instabile, dissonante, cacofonico, che si dà come risultante del sedimentarsi di processi eterocliti riconducibili a logiche antagoniste. Il disordine diventa un dato strutturale del paesaggio contemporaneo, esprimendo non già l’assenza totale di ordine, quanto piuttosto l’urto o il conflitto di diversi ordini.

 

Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006. Riflessioni sullo spazio tra realtà, media e virtualità. Parte IV.